Gino Castaldo per “la Repubblica”
A dare solo una sbirciatina nella storia di Ezio Bosso c’è da rimanere a bocca aperta scoprendo che The 12th room, il lungo viaggio di pianoforte diviso tra composizioni originali e brani classici (Chopin, Bach), è solo il suo primo disco, un debutto vero e proprio, dopo una enorme quantità di esperienze, opere, performance, incontri e riconoscimenti internazionali, musiche da film, espresse soprattutto nel sodalizio con Gabriele Salvatores, e perfino, molti anni fa, una militanza nella formazione mod degli Statuto, coi quali condivide l’origine torinese.
Una storia meravigliosa e importante, iniziata in giovanissima età quando, racconta la leggenda, fu addirittura protetto da John Cage in persona di fronte a un eccesso di rimprovero da parte di un maestro di conservatorio troppo rude, e che lo ha portato in giro per il mondo fin dall’adolescenza.
Una storia che il grande pubblico ha scoperto all’ultimo festival di Sanremo, che per fortuna di tanto in tanto qualche beneficio alla musica lo porta, scoprendo nel contempo come l’intensa densità emotiva che è tipica dello stile di Bosso sia oggi connessa a una malattia che ne pregiudica seriamente la scioltezza motoria (ma per fortuna non la tecnica strumentale).
Fa fatica a muoversi, fa fatica a parlare, eppure la sua umanità è strabordante, un inno alla vita e alla bellezza della musica che lascia senza fiato, tanto più perché proviene da un uomo in sofferenza.
«Quando hai la sensazione che quella cosa che chiamiamo tempo ti può sfuggire di mano, diventi un po’ più generoso», ha raccontato a Nicola Gallino sulle nostre pagine di Torino, dimostrando una straordinaria e saggia consapevolezza della condizione umana: «Scopri che non sei l’unico, che il problema diventa un’opportunità anche dal punto di vista artistico e creativo, consciamente e inconsciamente. Così il dolore non è più un oggetto, ma parte stessa della vita».
Ed ecco quindi la sua musica (martedì 12 al Parco della Musica) nella quale l’amore, il dolore, l’empatia, la gioia, convivono magnificamente come a voler rappresentare una dinamica dell’esistenza, in tutte le sue componenti.
“The 12th room”, s’intitola il suo primo disco, e di stanze racconta: stanze private, stanze nascoste, stanze più aperte, stanze dove incontrarsi e dove fuggire, rigenerarsi, detto altrimenti i luoghi che attraversiamo e nei quali lasciamo un segno, in una dimensione di piano solo che è perfettamente confacente allo stile di Bosso e che in ogni caso ci riporta a una lunga e feconda tradizione di performance pianistiche in solitario.
Da tempo ormai conosciamo le capacità “narrative” dello strumento, e anche che gli italiani hanno mostrato negli ultimi anni una singolare vocazione alla valorizzazione delle possibilità emozionali legate ai tasti del pianoforte. Il concerto, legato a questa sua prima incisione discografica, sarà un monologo, lungo e appassionante, legato a una profonda convinzione poetica, ovvero all’idea che l’immagine delle dodici stanze possa in qualche modo rappresentare per il nostro cammino.
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