Katia Ippaso per "il Messaggero"
«Io non ho mai paura che qualcuno mi faccia del male. Semmai sono terrorizzato dal fare io del male». Sandro Veronesi si presenta disarmato all'appuntamento Sulla paura, titolo del ciclo di lezioni curato da Francesco Siciliano e Francesca D'Aloja per Panafilm che, da Villa Medici, sede romana dell'Accademia di Francia (dove si tennero nell'autunno scorso gli incontri per il Romaeuropa festival: gli altri scrittori coinvolti Edoardo Albinati, Michela Murgia, Alessandro Piperno e Melania Mazzucco) arriva online su RaiPlay dal 31 marzo.
E mentre si mette in moto la grande macchina cinematografica per le riprese estive de Il colibrì, regia di Francesca Archibugi, trasposizione filmica dell'omonimo romanzo (La Nave di Teseo) che l'anno scorso gli valse il secondo premio Strega (dopo Caos calmo, 2006), il 62enne scrittore toscano accetta di farci fare un giro nello scantinato della sua mente.
Quale è la sua più grande paura?
«Quella di lasciare i bambini in macchina. Tutte le volte che accade un fatto tragico di questo tipo, sento che quel padre e quella madre sono miei fratelli».
Le è mai successo?
«Non mi è mai successo con nessuno dei miei cinque figli, ma ho dovuto sviluppare un'attenzione quasi maniacale, perché so che mi sarebbe potuto accadere».
Lei sostiene che nella sua vita nessuno le ha mai fatto del male. Una dichiarazione impegnativa.
«Diciamo che nessuno ha incarnato le mie paure. Tanto meno i miei genitori. Il primo male che ho dovuto subire e accettare è stato da parte di alcuni miei pari, quando andavo a scuola. Ma non mi ha fatto paura, nel senso che potevo reagire».
Ha mai fatto del male a qualcuno?
«A degli animali indifesi. Quando ero bambino. A un riccio e a una lucertola».
Ed è mai stato preso da una qualche forma di diabolica tentazione?
«L'ho proprio chiamata così: una diabolica tentazione. Ma è una cosa diversa. Una sola volta l'ho provata. Mia madre era in agonia. Sarebbe potuta morire da un momento all'altro. Ecco, io, quella mattina, ho avuto la tentazione di prendermi un cappuccino al bar. Per fortuna non l'ho preso. Quei minuti sono stati preziosi perché mia madre mi è morta tra le braccia».
Perché ha così paura di essere inaffidabile?
«È una paura su cui non ho controllo e per rendermela tollerabile la affronto con il mio psicoanalista».
Del tumore che l'ha colpita nel 2016, ha avuto paura?
«No. Perché mi avevano detto che era una situazione curabile. Mi hanno dato subito molte speranze. E infatti sono guarito. Però a un certo punto ho fatto una cazzata».
Quale?
«Sono andato a leggermi online tutto quello che le ripetizioni del tumore alla prostata possono portare. E lì si è aperto un varco per la paura. Tutte le volte che ho un dolorino al ginocchio, penso: e se mi viene il tumore alle ossa?».
Del cast de Il Colibrì faranno parte Piefrancesco Favino, Nanni Moretti e Kasia Smutniak. Cosa si aspetta dal film?
procacci smutniak veronesi foto di giuseppe fantasia
«Quando si mettono insieme forze di questo tipo, dalla regia di Francesca Archibugi (che io adoro) a questo tipo di attori, è come se si facesse un viaggio indietro nel tempo. Quando era il gruppo a prevalere sul singolo.
Non era Risi, non era Scarpelli, non era Sordi che faceva il film. Erano tutti insieme. Ecco, attorno a questo progetto sta lavorando la parte più virtuosa del cinema italiano. Quindi ho delle grandi aspettative come spettatore. Come autore, non metto mai bocca. Ma sento il rumore del grande cinema».
A proposito di cinema, nel corso della sua lezione Sulla paura lei dice che i thriller non le fanno un grande effetto.
«Enrico Ghezzi dice che la paura è un luogo. Così come il golfo di Napoli ogni volta ti procura quel tipo di incanto, allo stesso modo la scena della doccia di Psycho ti provoca tutte le volte quel tipo di terrore. Quella scena mette paura anche a me, ma non è una paura che mi interessa perché è stata confezionata ad hoc».
Invece è ossessionato da Mulholland Drive di Lynch.
«La differenza sta nel fatto che, mentre Lynch allestisce il teatrino della paura ma ti lascia libero di portarti la tua paura da casa, Hitchcock ti porta anche la paura».
In Mulholland Drive si gioca sul meccanismo del doppio. Ha forse paura di ritrovarsi una mattina nel corpo di un altro?
«Ecco, quella è una paura autentica. In quel periodo della mia vita, stavo parecchio male. Giravo per strada, guardavo uno qualsiasi e mi dicevo: perché non posso essere lui? Poi ho visto il film di Lynch e ho capito che per fortuna la mia era solo una fantasia innocua, perché svegliarsi veramente nel corpo di un altro deve essere la cosa più terrorizzante del mondo».
Le capita di spaventarsi anche leggendo un libro?
«In It di Stephen King, su circa 1200 pagine, sono saltato in aria solo su una pagina: quando descrive l'odore di muffa che si sente man mano che si scende nella cantina, e quell'odore alla fine diventa proprio lui, It».
Il contrario della paura è il coraggio. Il gesto più coraggioso della sua vita?
nanni moretti favino smutniak moretti
«Io e mio fratello abbiamo salvato due donne dall'annegamento. È stato un coraggio istintivo. Non le conoscevamo neanche».