Marco Giusti per Dagospia
Nella gag più assurda di un film simpatico, ma caciarone, scombinato, assurdo e illogico come pochi che rivaluterò magari tra qualche anno come stra-stra-stracult, “C’era una volta il crimine” di Massimiliano Bruno, terzo di una saga che era pure iniziata bene con “Non ci resta che il crimine” e si era poi arenata causa pandemia col mai visto in sala “Ritorno al crimine”, gli eroi protagonisti della storia, cioè Marco Giallini, Gianmarco Tognazzi e Giampaolo Morelli, prigionieri dei partigiani pensano di liberarsi con un’azione di forza ma si fermano di fronte al capo della pattuglia, Sandro Pertini, interpretato da Rolando Ravello con pipa e parrucchino. “A Pertini nun je potemo menà”, fa Giallini, “fosse stato Cossiga, ancora ancora…”.
È una delle battute migliori di un film che sembra più scritto dai suoi attori lì per lì che da ben quattro sceneggiatori, e dove Alessandro Aronadio e Andrea Bassi prendono il posto dei primissimi soggettisti, Menotti e Guaglianone.
Un film sui viaggi nel tempo, segnalo, che inizia con un “Ando’ sta ’sto portale?” detta da Edoardo Leo come Renatino della Banda della Magliana e chiude con una Ilenia Pastorelli dai capelli rossi, armata, che fa il suo ingresso in scena in una finta spiaggia napoletana del 1943 piena di nazisti con un mitico “A coatti!!” mentre spara e esplode l’inno della Roma.
Il succo di tutta la storia si dovrebbe reggere sul megafurto della Gioconda (“Pijamose sta Gioconda!”) da un castello nella Francia occupata dai tedeschi, scena che non vediamo per mancanza di soldi e che viene risolta con quattro simpatiche vignette alla Diabolik.
Alla ricerca di un portale che li riporti al 2022, i tre protagonisti, Giallini sempre più smagrito, Tognazzi e Morelli che ha preso il posto di Alessandro Gassman, passano per Camogli, dove vive Carolina Crescentini, nonna di Giallini (mah!) e attraversano l’Italia fino a Napoli l’8 settembre incontrando di tutto, da Pertini al Duce, interpretato da Duccio Camerini in canotta simil Kurtz.
Il tutto è annacquato da canzoncine, da una fin troppo esibita “Faccetta nera” a “Lili Marleen” eseguita da Tosca alla divertente “Voglio vivere così” del Maestro D’Anzi che portò al successo Ferruccio Tagliavini nel 1942, cioè l’anno prima nell’omonimo film canterino di Mario Mattoli.
Non si capisce mai bene quale strada vogliano davvero prendere Max Bruno, i suoi sceneggiatori e i suoi attori. Il film oscilla tra situazioni alla “Tre uomini in fuga” con Louis De Funès e Bourvil, banalità da viaggi nel tempo di Boldi e De Sica e una sorta di riciclo immediato delle scene coi nazisti e le svastiche di “Freaks Out” di Gabriele Mainetti, che, rispetto a questo, sembra un campione di sobrietà storica.
Per non esagerare coi partigiani vediamo anche i fascisti, a Pertini fa da contrappunto il Duce. Ma perché, siamo in un talk in tv? Al punto che la battuta, non mi ricordo detta da chi, “E le foibe?” è precisa, in questo contesto di parodia del revisionismo di questi anni.
Per fortuna che i tre protagonisti si divertono e qualche battuta legata alla Roma e al Napoli la portano a casa. E Max Bruno in mimetica che spara assieme alla darkettona Giulia Bevilacqua sembra provenire da qualche film di serie Z turco. Il che è positivo, lo so… In sala dal 10 marzo.
c era una volta il crimine 11 c era una volta il crimine 12 c era una volta il crimine c era una volta il crimine 1 c era una volta il crimine 10 c era una volta il crimine 13 c era una volta il crimine 14