Le buone stelle/Broker di Hirokazu Kore-eda
Marco Giusti per Dagospia
E’ incredibile come una storia abbastanza triste di vendita di bambini e di degrado, come questa di “Le buone stelle”, ma il titolo internazionale è “Broker”, nelle mani di un maestro di grazia e di commedia come Hirokazu Kore-Eda divenga qualcosa di completamente diverso.
Un racconto di solitudini che si incontrano, formando quasi una famiglia, e, senza mai scivolare nel melodramma o nella pietà cattolica, cerchino incredibilmente il bene di tutti. Soprattutto dei più deboli. A Kore-eda bastano quattro diverse inquadrature all’inizio del film, per farti capire subito quel che sta succedendo e cosa sta raccontando, o una inquadratura sporcata da qualcosa di imprevisto, come una mano sul volto della protagonista per dirti qualcosa che non sapevi su quel personaggio.
Arrivato ormai a un livello di perfezione di racconto che pochi registi al mondo possono vantare, per il suo nuovo film, che è passato a Cannes lo scorso maggio portando a casa un premio per il miglior attore, il Song Kanh-ho di “Parasite” e “Snowpiercer”, che è un po’ un’assurdità in un film corale, Kore-eda si è spostato a Busan, nella Corea del Sud. Ma non ha cambiato certo il tipo di umanità, di degrado, ma anche di umanità che ha sempre descritto.
Il film si apre su una giovane madre, So-young, cioè la quasi esordiente Lee Ji-eun, che lascia il suo bambino nella notte ai piedi di un baby-box, un cassetto dove si possono depositare i bambini appena nati che non si riesce a far crescere. Per non farlo morire di freddo, vediamo una poliziotta che sorveglia il baby-box con l’idea di acciuffare i broker di bambini, Soo-jin, cioè la Bae Doo-na di “Cloud Atlas” e Jupiter Ascending"), che lo deposita dentro al baby-box.
Da lì il neonato finisce nelle mani di due strani personaggi, il sarto Sang-yeon di Song-Kang-ho e il più giovane Dong-soo di Gang Dong-won, che hanno appunto idea di venderlo a qualche coppia senza figli. Così i due portano il bambino nel negozio di Sang-yeon, dove verranno presto raggiunti dalla giovane madre, So-young, che ci ha ripensato, forse ha idea di tenerselo, forse vuole scegliere di persona chi saranno i genitori del bambino.
Sotto gli occhi di due poliziotte, così, che aspettano il momento giusto per cogliere sul fatto i trafficanti di bambini, assistiamo così ai viaggi del terzetto di protagonisti, i due rapitori e la madre, per la Corea alla ricerca di una famiglia. Ma presto ci rendiamo conto che la famiglia migliore per il bambino, per quanto bizzarra, è proprio quella che si sta formando davanti ai nostri occhi, poliziotte comprese.
Costruito con colori pastello e una contorta tenerezza nel dipingere criminali e disadattati, a un certo punto la giovane madre spiega in due minuti crudamente la situazione, è un film che riesce a spiazzarci più volte, facendoci capire che Kore-eda non vuole giocare coi personaggi, ma solo col cinema che li sta raccontando. Da giovedì 13 ottobre in sala.