Marco Giusti per Dagospia
“Forza e onore”. Aridaje. Ne avevamo proprio bisogno, 24 anni dopo, del sequel da 200 milioni di dollari de “Il gladiatore” di Ridley Scott? Anche se avremmo preferito una parodia tipo “I due gladiatori” con Franco e Ciccio, “Il gladiatore II” è ancora diretto e prodotto dal vecchio ma arzillo regista, arrivato ormai a 87 anni, che ancora fa gli storyboard di tutto quello che vediamo, e ritroviamo ancora come direttore della fotografia e costumista gli strepitosi John Mathieson e Janty Yates, ma non è purtroppo scritto dagli sceneggiatori originali, William Nicholson e John Logan (“Skyfall”), bensì dal non memorabile David Scarpa, già autore dei copioni disastrosi di “House of Gucci”, “Napoleon”, “Tutti i soldi del mondo”. E si sente.
Anche se Scarpa, più che un sequel, sembra riproporre con effetto fotocopia personaggi e situazioni già viste nel primo film. Così l’irlandese Paul Mescal, bravo attore di piccoli film intelligenti (“Aftersun”, “Estranei”), con una gonfiatina ai muscoli, viene lanciato come Lucio, il gladiatore n.2, che si scoprirà ovviamente figlio del defunto Maximus di Russell Crowe (un’altra cosa proprio…) e della ancora viva, ma piena di botox, Lucilla di Connie Nielsen.
Denzel Washington, a 70 anni, come Macrino, una sorta di cinico agente di gladiatori da portare a Roma per la Champions, prende il ruolo del defunto Oliver Reed (ricorderete tutti che a metà lavorazione del primo film, durante un’epica bevuta con scommessa con un gruppo di marinai inglesi, si schiantò sul pavimento di un fetido bar di Malta dove c’è perfino una targa in suo onore).
Pedro Pascal, che avrebbe il fisico e il volto giusto per essere un nuovo Russell Crowe, interpreta il generale romano col nome poco virile di Acacius (Dago lo ha subito ribattezzato Acacio e pepe…), che ha vinto la campagna di Numidia e che trama con la moglie Lucilla, lei più generone romano che generale romano, per eliminare la coppia di svitatissimi imperatori biondi e gay Geta e Caracalla, cioè Joseph Quinn (che rimpiazzò l’irlandese Barry Keoghan) e Fred Hechinger.
Sì, loro, che prendono il posto che fu di Joaquin Phoenix, fanno parecchio ridere, Quinn lo ritroveremo anche nel biopic dei Beatles con Paul Mescal, e funziona anche Dondo, la scimmietta adorata da Geta. Di tutto il grande cast originale di grandi attori inglesi e amici di bevute di Ridley Scott del primo film, penso a David Hemmings, Oliver Reed, Richard Harris, rimane solo un invecchiatissimo Derek Jacobi che torna a interpretare Gracchio. E inserisce il bravo Tim McInnerny nel ruolo di Trace, scommettitore effeminato che ci ricorda la celebre battuta scorretta di Totò contro Maciste (“avevo chiesto sei schiavi traci non sei schiavi froci”).
L’unica attrice giovane, Yuval Gonen, che interpreta la moglie di Paul Mescal-Lucio, muore durante la prima scena di battaglia dei Romani contro i Numidi. E’ girato ancora a Malta, come il primo. E in Marocco per le scene iniziali. Ora. Capisco perché i critici inglesi ne abbiano scritto bene. Non possono che voler bene a un regista che alla sua età ancora riesce a mettere in piedi un film del genere e che ha il controllo totale sulla propria opera.
Mi ha detto Gianluigi Toccafondo, che ha disegnato e animato da solo gli strepitosi titoli di testa iniziali, come già fece per i titoli di “Robin Hood”, che Ridley Scott ha ancora questo lato artigianale, da piccolo studio, dove ha il controllo di ogni immagine e della musica giusta che ci deve inserire. Tutto questo, nei combattimenti, ad esempio, funziona ancora bene. La grande scena iniziale con l’attacco dei romani con le triremi alla fortezza dei Numidi è clamorosa. Come sono ancora di grande effetto visivo i combattimenti nell’arena coi gladiatori.
Anche se avrei qualcosa da dire sulle scimmie-cani cattivissimi che Lucio riesce a vincere e, soprattutto sui pescecani finti alla Sharknando che circolano nel Colosseo dove si cerca di ricostruire una Battaglia di Salamina per turisti boccaloni. Ma la sceneggiatura, per non parlare della costruzione dei personaggi, non è all’altezza della fama del regista e della fama e della riuscita del primo film. Certo, Denzel Washington come Macrino, anche se si muove un po’ come se fosse in America, è favoloso.
L’esperienza del Macbeth di Joel Coen si sente. Solo per come dice “politics…” potrebbe essere candidato all’Oscar come non protagonista. Ma non capiamo bene il suo comportamento. I due imperatori sciocchini e pazzarelli sono bravi, ma non valgono Joaquin Phoenix. Pedro Pascal, che fa il generale Acacius (e pepe…), non è l’eroe che si pensava. Ma il vero personaggio senza grinta, ahimè, è quello del protagonista, il Lucio di Paul Mescal, che sentiamo anche citare una frase di Virgilio.
Nelle scene con Connie Nielsen, tra lei paralizzata dal botox e lui che ha sta mascellona irlandese ma che sembra incapace di esprimere sentimenti, ti metti a ridere come fosse una parodia. Uffa. Ovvio che si vede. Si vede, sì. Ridley Scott sa come tagliare velocemente un film, come costruire le scene d’azione. Se metto in un film Denzel Washington e Pedro Pascal lo vedo. Ma ci rimane il desiderio di capire se fosse realizzabile il sequel che aveva scritto su invito di Russell Crowe e Ridley Scott il musicista Nick Cave…
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