Filippo Facci per “Libero quotidiano”
Dio, che occasione persa. È terribile assistere ai primi tentativi di storicizzare qualcosa che hai fatto in tempo a vivere: bisognerebbe morire prima. Poi ti diranno che no, sbagli, l' aspettativa era fuori luogo, non voleva essere «un film storico o un pamphlet»: e infatti nessuno ha capito che cosa voleva essere il film Hammamet di Gianni Amelio.
Davanti al cinema Anteo, ieri mattina, dopo la prima milanese, c' erano craxiani di provata fede (anche parenti) che si guardavano negli occhi come in preda a un imbarazzo annichilente, incapaci di proferire verbo perché consapevoli che ogni critica o lode al film - ogni stroncatura o esaltazione - sarebbe parsa scontata, fisiologica, preconcetta: e però nessuno si aspettava che il film potesse rivelarsi così brutto.
Proprio brutto oggettivamente, tecnicamente, di una noia cosmica, ipnotica, incapace di catturare anche il più feticista di cose craxiane o politiche, da seccare un fan di Tarkosvky, una ridondanza di fiction inafferrabile attorno all' unico perno interessante e iper-realista: Bettino Craxi, personaggio storico mai nominato in tutto il film e circondato da mezze figure mai sviluppate e malissimo recitate, tipo una moglie di sconcertante banalità, disinteressata a tutto, poi una figlia nevrotica e ancillare, un figlio ingrullito e inane, un politico turista d' inesistente fattura (un po' comunista, un po' cattolico, un po' furfante, un po' moralista: somma zero) più un' amante didascalica e da motel, e - il peggiore - un ragazzetto monocorde e improbabilissimo che trascina penosamente per tutto il film la storia di suo padre socialista - il depressivo Antonio Cederna - che non interessa a nessuno, come tutto ciò che non sia lui, l' innominato.
MUSICA INCISIVA
Ma passiamo alle cose belle, oltre alla musica discreta e incisiva di Nicola Piovani e all' ambientazione fedelissima nella vera casa craxiana di Hammamet, concessa dalla famiglia in sfida alla buona sorte. Anche perché la cosa bella è una sola, e ovviamente è lui, Pierfrancesco Favino, di una bravura impressionante (tutti d' accordo) col suo makeup prostetico ma soprattutto con una voce che sembrava Craxi in ogni registro, così come lo sembrava nelle posture soprattutto da seduto, nella «zoppicata» caracollante e nelle movenze sin troppo nervose.
Di più non poteva, Favino, sul serio: non poteva certo allungarsi di 13 centimetri (Craxi era 1.93) e non poteva non risultare, perciò, un po' schiacciatino, corto, in scala minore, così come non poteva correggersi l' occhio cadente: ma un' interpretazione e uno studio del genere, da parte di un attore italiano, non si erano mai visti. Peccato aver sacrificato tanta professionalità in un film che, detto con rispetto, non serve veramente a un cazzo. Tanto valeva accogliere la proposta iniziale del produttore Agostino Saccà e fare un film su Cavour nel rapporto con la figlia (da sfondare i botteghini, certo) piuttosto che cercare di «entrare nel privato» di un personaggio che il privato, in pratica, non ce l' aveva, perché Craxi respirava politica in privato e la respirava in pubblico e probabilmente la sognava pure la notte: poi non c' è stata più, la politica, e allora lui è morto, fine, e ci ha lasciato qui, con questi menomati.
Poi sia chiaro - avviso ai lettori - che lo scrivente stava al telefono con Craxi con frequenza quotidiana dal 1994 al 1997, e che andò ad Hammamet non più di 4 o 5 volte (funerale compreso) e ci andò anche nel luglio 1999, periodo che rientra negli ultimi mesi focalizzati dal film: anche se, di film, lo scrivente ne vide tutt' altro. Ma ci sta, è normale, ciascuno ha gli occhi suoi e il cuore suo. Dopodiché Pierfrancesco Favino ha detto che non era craxiano (anzi) e poi Gianni Amelio ha detto che non era craxiano (anzi) e allora tanto vale dirlo: chi se ne frega, allora non ero craxiano neanch' io, ero solo un uomo quando ne circolavano pochi.
ULTIMO GIGANTE
enrico mentana bettino craxi gianni letta
Amelio ha detto a Repubblica: «Tangentopoli è stata la perdita dell' innocenza della mia generazione È impressionante la velocità con cui si è cancellata una statura, una responsabilità e, se vogliamo, una retorica politica quasi ottocentesca che allora in Parlamento c' era ancora.
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Si può dire di tutto di Craxi, ma è stato l' ultimo grande politico italiano». Ecco, magari ci piacerà un film anche su questo, ma la verità è che per raccontare «l' Italia di allora, molto più rilevante sul piano internazionale» (Favino, Repubblica) serviva un Paese che non è ancora pronto, e che forse non sarà mai pronto: anche perché, per fare i conti col proprio passato, occorre almeno saper contare.
Ma questo è un altro discorso, un discorso pessimista e un po' qualunquista.
Questa non è una recensione cinematografica, e non c' è da prendersela con Gianni Amelio che almeno ha fatto qualcosa su un tema tra i più rimossi in assoluto. Ma il suo Hammamet è un film che non saprei a chi consigliare. Guardando la pellicola, ho ritrovato Craxi nel suo rapporto coi bambini: sembrava davvero lui.
L' ho ritrovato nella scena in cui spalanca il frigo, di notte: è come lo vidi nel luglio 1996, mentre imbracciava un coltello da quaranta centimetri e infilzò una caciotta con inaudita violenza, e rimase lì, un poco storto, invincibile, le gambe allargate, la posa da guerriero. Nel film, poi, ambientato nei suoi ultimi mesi in uno scenario un po' délabré, è descritto come un derelitto affianco alla sua piscina vuota. Io, invece, nel luglio 1999, lo vidi alzarsi faticosamente, saltellare su un piede solo, sino al bordo della piscina, e tuffarsi di testa.
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