Federico Ercole per Dagospia
Sguazziamo sozzi di un liquame sordido tra “carcasse di pesci marciti e di cose meno facilmente descrivibili” attraversando cunicoli lucenti di un verde ributtante e alieno, voci abominevoli intonano canti disumani che echeggiano sconci tra le rocce umide di sangue e grassi disciolti. Ma è solo un incubo e ci risvegliamo sul divano di un ufficio trasandato, ancora in preda ai fumi dell’alcol e dei barbiturici. Era solo un brutto sogno ma tra non molto la realtà sarà peggiore “perché non è morto ciò che in eterno può attendere, e con il passare degli eoni anche la morte può morire”.
Si tratta dell’incipit di Call of Cthulhu, videogioco per Playstation 4, XBox One e Microsoft Windows sviluppato da Cyanide, ispirato alla letteratura del grande e oscuro scrittore di Providence: Howard Phillips Lovecraft, l’uomo che nei 47 anni della sua esistenza ha mutato la storia dell’orrore e della fantascienza con le sue cupe visioni di divinità abominevoli e ancestrali, dando alle stelle un luccichio sinistro, il pallido e ingannevole velo cosmico oltre il quale si cela una scellerata, insondabile follia.
Malgrado il titolo rimandi direttamente al racconto del 1926, il videogame di Cyanide abbraccia tutto l’arco narrativo degli scritti del ciclo di Cthulhu, disseminandoli in una sceneggiatura originale che restituisce con rigore i brividi, la paranoia e i terrori di Lovecraft.
Se siete quindi appassionati della letteratura dello scrittore americano troverete in Call of Cthulhu quelle suggestioni e quelle atmosfere che amaste nei suoi scritti e il videogame diviene un passatempo più che godibile, a tratti davvero appassionante. Non si tratta di una produzione milionaria e si vede, talvolta il videogame in questione può annoiare durante prolungati momenti realizzati con un’ispirazione non costante che ci costringono a nasconderci ai nemici, tuttavia, nel suo tetro insieme, Call of Cthulhu funziona e inquieta con le sue indagini, le sue lunghe conversazioni, i suoi terrificanti misteri.
In questa avventura in prima persona con elementi da gioco di ruolo ci muoviamo nei panni di un investigatore privato che indaga sulla scomparsa di una pittrice e della sua famiglia, misteriosamente arsa viva nel soggiorno di una macabra magione. Viaggiamo fino alla lugubre isola di Darkwater, un posto triste e orrendo ma senza dubbio suggestivo, dove i pescatori piangono un mare avaro, che restituisce cetacei divorati da chissà quale bestia invece che garantire una proficua pesca. Perlustriamo ville abbandonate dai giardini cimiteriali, cave misteriose o agghiaccianti ospedali, facciamo domande, ci nascondiamo, fuggiamo, indaghiamo su fenomeni occulti e persino sulla miseria umana e il gioco trascorre, precipitandoci in un orrore cosmico e definitivo.
I colori di Call of Cthulhu non sono quelli del cinema di Stuart Gordon che con efficacia traslò i racconti di Lovecraft negli anni novanta del secolo scorso, perché il racconto videoludico si svolge in un’epoca contemporanea a quella dello scrittore di Providence, poco dopo la fine della prima guerra mondiale.
Le tinte del videogame -e da ciò deriva l’efficacia horror e “antica”delle sue ambientazioni- rimandano a quelle del ciclo tratto da Poe di Roger Corman, colori accesi nella loro sporcizia, talvolta sepolti da fumi e nebbie. Rivedetevi dunque The Haunted Palace (ispirato al racconto di Lovecraft Lo strano Caso di Charles Dexter Ward), del 1963, in italiano la Città dei Mostri, con Vincent Price e Lon Chaney, vi troverete stupefacenti corrispondenze cromatiche tra gioco e pellicola.
Le opere di Lovecraft, visionario inventore di terrori incomparabili e nuovi, uomo convinto di essere bruttissimo, sempre malato e nella sua grave paranoia persino razzista (ma lo si perdona poiché inoffensivo e vittima di se stesso), qui dichiaratamente citate, hanno già tuttavia ispirato innumerevoli videogiochi e le loro creature più spaventose.
E’ sufficiente pensare al sanguinario capolavoro dell’orrore totalizzante che è Bloodborne di Hidetaka Miyazaki, a quella perla rara, introvabile e quasi estinta nel glorioso passato del Game Cube Nintendo che è Eternal Darkness o agli striscianti abomini che si trascinano per la nebulosa Silent Hill.
Call of Cthulhu non è un capolavoro dei videogame ma nemmeno un gioco brutto o mediocre, è una gloriosa opera di serie B che va giocata e amata per quello che è: un incubo a occhi aperti e l’omaggio sentito a uno dei più grandi scrittori del ‘900 per il quale ogni appassionato del fantastico non può che provare, leggendolo, ricordandolo, ritrovandolo, un reverenziale, timoroso rispetto.