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Piera Anna Franini per Dagospia
L’Italia non è un Paese per meritevoli, si sa. Vi sono comunque due categorie dove la meritocrazia si applica in automatico: sport e arte. Se sei un grande atleta vinci medaglie, campionati e coppe del mondo.
Se sei un grande artista - restringiamo il campo alla musica d’arte, classica e lirica - riempi le sale da concerto che contano, ottieni ingaggi importanti, le orchestre di classe ti rispettano e quindi ti richiamano.
In tal senso, è interessante il fenomeno Beatrice Venezi. Direttrice d’orchestra di 31 anni. Si muove fra la classica e il pop, è al centro della scena mediatica strettamente nostrana, ha un buon seguito sui social e presta il volto a campagne pubblicitarie, anche se non glam come accade ai colleghi artisti che si muovono fra Bottega Veneta, Cartier, Audi, Rolex, Mandarin Oriental…
Venezi è stata la co-conduttrice della quarta serata di Sanremo. Ha innescato un certo dibattito la sua posizione anti-sessista in tema di lingua: ritiene che direttora o direttrice non funzioni. “Chiamatemi direttore d’orchestra” è il mantra oltre che uno degli ingredienti della sua storytelling.
E qui sta il punto: Venezi è una campionessa di personal branding, ha strategie, visione e senso del tempismo. Ma soprattutto sa che di fronte a sé ha una prateria: gli artisti non sono propriamente maestri del marketing, salvo rare eccezioni. E così, accade che Venezi venga indicata come uno dei punti di riferimento della direzione d’orchestra.
Per la verità, nel mondo della musica d’arte è un’araba fenice: che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. E per “dove” intendiamo i palcoscenici di serie A, italiani e stranieri, quelli, per dire, che frequenta abitualmente Beatrice Rana, pianista di classica under30, con un portfolio ricco di concerti nei luoghi che contano. I dovuti distinguo già li abbiamo fatti, nel senso che sappiamo che un pianista arriva in vetta prima di un direttore, il punto è che Rana è numero uno da anni ed è più giovane.
Venezi manca (oppure va ma non vi torna) su quei palcoscenici frequentati dagli omologhi di ieri e di oggi: l’under30 Claudio Abbado già veniva incoronato dal NYTimes e adocchiato da Leonard Bernstein; Riccardo Muti aveva un contratto stabile con il Maggio di Firenze dei tempi d’oro; Riccardo Chailly aveva debuttato alla Scala ed era fisso alla Radio di Berlino; Lorenzo Viotti (classe 1990) è stato più volte alla Scala, ha vinto un Premio a Salisburgo e ora ha un contratto a Amsterdam.
Idem per la lituana Mirga Grazinyte-Tyla, oggi ha 35 anni ma da under30 aveva vinto il Premio Nestlé a Salisburgo, lavorato con la Filarmonica di Los Angeles e un contratto con l’orchestra di Birmingham e diretto ai Proms. Si sta allungando la lista delle donne direttrici che frequentano i podi di lusso: Marin Alsop, Keri Wilson, Simone Young, Alondra de la Parra, Julia Jones, Eva Ollikainen.
E allora il sessismo, se proprio di sessismo vogliamo parlare, sta nell’assenza di Beatrice Venezi sui podi apicali della classica. O non è questione di sessismo? Forse Venezi paga lo scotto della sua natura ibrida per cui dare un colpo al cerchio del pop e l’altro alla botte della musica classica non paga? Forse è peccato - nel mondo della classica - fare personal branding? Altro?
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