Fabio Pavesi per affaritaliani.it
Settantuno milioni di euro di entrate persi in soli 12 mesi. E un’altra mega pulizia di bilancio sul valore delle testate del gruppo che portano in rosso per 166 milioni i conti di Gedi. Che la crisi dell’editoria morda tutti quanti è un fatto acclarato ormai da anni. Ma di certo il gruppo che edita Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, tre radio e una serie di testate locali e che è posseduto con l’89% del capitale dall’Exor di John Elkann, è quello che soffre di più.
Il 2020 ha visto i ricavi scendere a 533 milioni di euro a fronte dei 604 milioni del 2019. Un taglio secco di oltre un decimo del giro d’affari con il gruppo che va già in rosso a livello operativo con un passivo di 12 milioni. Ma non è finita qui. Gedi ha dovuto svalutare sotto la regia di Exor avviamenti delle testate per 82 milioni di euro, con Repubblica che ha fatto la parte del leone.
Poi ha spesato altri 24 milioni di oneri di ristrutturazione e ha perso 11 milioni nella cessione di alcune testate locali. Una pulizia dei valori di bilancio che prosegue per il quarto anno consecutivo, dopo che i De Benedetti avevano già svalutato ampiamente prima di cedere la mano alla holding di casa Agnelli. Gedi infatti è reduce da perdite cumulate dal 2017 al 2019 per 260 milioni cui ora si aggiungono i 166 milioni del 2020.
Del resto se i giornali del gruppo continuano a perdere copie, inevitabile svalutare il valore delle testate. Il crollo dei ricavi nell’annata in cui Exor ha preso il controllo del gruppo editoriale ha visto protagoniste sia la diffusione (persi in un anno 13 milioni) sia soprattutto la pubblicità caduta di quasi il 20%.
Il malessere di Gedi è la cartina di tornasole della crisi generalizzata dei media tradizionali italiani, ma per l’alfiere storico del gruppo, La Repubblica la crisi è devastante. La perdita di copie da anni è superiore a quella del rivale il Corriere di Urbano Cairo. E il digitale pur in crescita non compensa la caduta delle copie in edicola.
Ma anche La Stampa e il Secolo XIX, entrate nell’orbita del gruppo quando gli Agnelli con Exor fecero capolino per la prima volta nel capitale dell’ex gruppo Espresso, non hanno portato i benefici attesi. Al contrario. Dal picco dei ricavi aggiuntivi portati in casa dell’ex Espresso con il giornale torinese e quello ligure, il crollo è più che evidente.
Nel 2018 i ricavi erano saliti a 648 milioni, tempo solo 24 mesi dopo, ecco i ricavi scendere poco sopra i 530 milioni. E la cura dei costi non è bastata: dal 2018 infatti Gedi chiude in rosso già a livello di margine operativo netto.
Ora come raccontato nei giorni scorsi da Tag43, l’amministratore delegato Maurizio Scannavino si appresterebbe a una ristrutturazione radicale, con una serie di misure che vanno da pre-pensionamenti massicci a Repubblica e La Stampa, alla chiusura delle sedi locali, alla razionalizzazione del portafoglio delle testate. Tra le prime vittime anche il sito Business Insider che verrebbe chiuso secondo fonti contattate da Affaritaliani.it.
Un quadro di grave crisi che avrebbe messo in ginocchio padroni meno robusti di Exor. In fondo Gedi vale meno dell’1% dell’attivo totale della holding olandese. E la finanziaria guidata da Elkann può permettersi il lusso di assorbire qualsiasi perdita del suo business editoriale.
In fondo la passione del nipote dell’Avvocato per i giornali ha un prezzo più che sostenibile a fronte dei benefici indiretti che derivano dal controllo dell’informazione. Tanto più in una fase delicata per l’ex Fca, finita sotto l’ombrello dei francesi con Stellantis, che vedrà con ogni probabilità tagli di stabilimenti e occupazione proprio in Italia. E pur posseduta da una finanziaria che fino all’esplosione del Covid macinava utili netti per 3 miliardi di euro, Gedi finirà per chiedere lo stato di crisi e farsi finanziare i pre-pensionamenti dei giornalisti dallo Stato. In fondo così fan tutti.