Maria Luisa Agnese per il "Corriere della Sera"
Votereste mai per Angela Kasner, affidando a lei le sorti di un’Europa in travaglio? Oppure vi appassionereste alle dispute televisive fra una Marina Punturieri e tale Daniela Garnero? Certo, le vostre passioni si accenderebbero se vi dicessi che l’Angela di cui sopra altri non è che la Cancelliera Angela Merkel, nata Kasner e sposata in prime nozze con Ulrich, compagno di gioventù di cui ha mantenuto il cognome, con il quale ha cominciato a far politica e che ormai è un marchio internazionale.
E che le opinioniste tv sono Marina Lante della Rovere diventata famosa con il cognome del primo marito, il conte Alessandro (anche se oggi è egualmente nota con quello del secondo, Ripa di Meana), e Daniela Santanchè, dal cognome del primo marito, il chirurgo plastico da cui divorziò nel ‘95, mantenendone il cognome, a seguito di accordo in sede di separazione.
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La questione del cognome, biglietto da visita con cui ci si presenta al mondo, è esplosa nella sua complessità di pari passo con l’avanzare dei divorzi, e si fa sempre più controversa. Tanto più quando ci sono in ballo cognomi famosi. E per tante donne che hanno scelto fieramente di usare il cognome del padre, altre e non poche, hanno cercato per motivi vari — essere riconosciute a scuola nella gestione dei figli o farsi riconoscere nel mondo del lavoro dopo la separazione — di continuare a usare quello del coniuge.
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Che non sempre è d’accordo, come quell’imprenditore di famiglia molto nota che, separato dopo 32 anni, negava all’ex moglie il suo consenso, avendone, secondo legge, facoltà. Ora la Cassazione gli dà sostanzialmente ragione, con un’ordinanza interlocutoria, come riporta il Sole24Ore , e dà torto, per quanto con molte cautele, alla signora che aveva fatto ricorso non avendo paura di mettere al centro delle sue rivendicazioni proprio la questione del cognome famoso.
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Anzi, lo rivendicava come un atout, sostenendo che aveva usato quel cognome per 32 anni, più di quanto avesse portato il suo da signorina, e che per la buona condotta come moglie aveva diritto, quasi per usucapione, di continuare a godere dei benefici sociali che quel cognome portava con sé.
Sfida che è riuscita benissimo, per garbo naturale e benevolenza della famiglia, a Marta Marzotto nata Vacondio, o a Chicca Conti Olivetti, che continuano coi cognomi da divorziate. Perché a volte meglio delle sentenze funzionano buon senso e tocco personale. Che ha molto contato nella vicenda di Anna Cataldi, prima moglie di Giorgio Falck e madre di suoi tre figli, che dopo il divorzio, nel 1980, firmò la pagella di sua figlia Guia con il nome Anna Falck e si vide trascinata in Tribunale dalla seconda moglie di Giorgio, Rosanna Schiaffino, per «atto criminoso», in quanto non avrebbe potuto più usare quel cognome. Da allora, ancor prima di aspettare la sentenza, Anna decise di tornare a essere Cataldi e basta.
Molto meglio, abbiamo visto, è andata all’onorevole Daniela Santanchè: «Anche se io non ho sposato un cognome blasonato o famoso, non ho sposato Moratti, Agnelli o De Benedetti» precisa. «Ma ho contribuito a farla crescere quella fama, lavorandoci per 12 anni, e creando un brand che poi è diventato il mio marchio nella comunicazione».
Dopo l’accordo iniziale, al momento della separazione, si è adoperata per avere un atto pubblico che lo attestasse e nel ‘98 con decreto del capo dello Stato è diventata all’anagrafe Daniela Garnero Santanchè. Ma forse la mossa decisiva l’ha messa a segno Gabriella Dompé, per 17 anni compagna e moglie dell’industriale farmaceutico Sergio, da cui si è separata quattro anni fa. E ora può chiamarsi Dompé come da sentenza di divorzio, del 2013: «Lo so, da divorziata non hai diritto a usare più quel cognome, a meno che non diventi elemento identificativo della tua persona» dice Gabriella.
JACARANDA FALCK CON MAMMA ANNA CATALDI
E nel suo caso è stato acclarato che è così: «Per fare un esempio io sono stata fatta Cavaliere al merito con il mio cognome da signorina, Magnoni. Ma dandone notizia tutti i giornali, Corriere compreso, hanno scritto “La Dompé diventa Cavaliere”. Vuol dire che altrimenti non mi riconoscono, non sono più io. E come si fa a privare una persona della sua identità?». Famosa in proprio, con il nome del marito: uno di quei casi in cui il sistema mediatico diventa un alleato.