Elena Banfi per “www.vanityfair.it”
Nella sfera di cristallo postata sul profilo Instagram di Achille Lauro un paio di settimane fa, apparivano in successione quattro indizi. Allora, quando la città protetta da San Romolo (ironia della sorte) era ancora una tranquilla località di mare in inverno, suonavano ancora criptici, come il rapper voleva fossero.
Oggi la nebulosa si sta dissolvendo e sulla sfera possiamo vedere più chiaramente a cosa alludessero: uno per ogni sua serata all’Ariston, uno per ognuno dei quattro look interpretati da Lauro. Tutti studiati insieme ad Alessandro Michele, deus ex machina di Gucci.
Il primo indizio era il lupo e collegarlo a San Francesco, col senno di poi e conoscendo la mania di Lauro di fondere musica, versetti evangelici e storia dell’arte, non era poi così difficile. Meno chiara, se vogliamo, è la ragione per cui certi look vengono scelti.
E così tutti a chiedersi il perché dei suoi, come ieri ci si chiedeva perché Renato Zero si presentasse adorno di costumi surreali e vestiti da uccello (che lo hanno fatto diventare un’icona, insieme alle sue canzoni) o perché David Bowie si infilasse in calzamaglie sgargianti e infuocasse le platee con capelli incendiati di rosso e nuove sonorità che hanno riscritto la storia della musica. La risposta più plausibile, allora come ora, era che all’arte e al bisogno di esprimere se stessi non si comanda.
Per molti artisti, i più poliedrici ed eccentrici, quel modo di presentarsi faceva e fa parte di un rituale, non è più (solo) un pretesto per scioccare, stupire, ribellarsi alle convenzioni ma un’espressione a tutto tondo della propria arte, del proprio sentire e vivere la musica. Un modo di essere, che in certi casi ha generato leggende. Lauro non è uno sprovveduto: sa che non può paragonarsi a certe entità ma che può trasmettere a un pubblico vastissimo (il suo, su Instagram, conta quasi un milione di followers) quello che vuole.
Dell’indizio n°2 che appariva nella sfera di cristallo, un fulmine in rosso e blu, avevamo intuito il legame con David Bowie. E così, nella terza serata sanremese, per la sua seconda esibizione, Achille Lauro si è trasformato in Ziggy Stardust. Ancora a chiedervi il perché? Lo spiega il performer dai suoi social: «È uno dei tanti alter ego di David Bowie. Anima ribelle, simbolo di assoluta libertà artistica, espressiva e sessuale e di una mascolinità non tossica».
Achille Lauro, che insieme ad Annalisa ha interpretato la cover di Gli uomini non cambiano, capolavoro che Mia Martini cantò nel 1992, ha lasciato tutti a bocca aperta, di nuovo. È sceso dalla scala dell’Ariston in un look gender fluid – anche stasera firmato per lui da Gucci con lo styling di Nicolò Cerioni – indossando uno sgargiante completo di raso smeraldo, con dettagli personalizzati come la label con il suo nome, messa in bella vista sul fondo manica.
Minuzioso anche il lavoro di hairstyling e makeup: una parrucca fiammante realizzata apposta per l’esibizione e un trucco glam rock tutto glitter ispirato a quello che scintillava sul viso diafano dell’alieno Ziggy durante i suoi concerti negli anni ’70.
Vogliamo metterla sul piano dell’arte? Allora, stando così le cose, in questo ennesimo travestimento guccesco Achille Lauro ribadisce il suo bisogno di esprimere se stesso in totale libertà, libero di cambiare e di diventare ciò che vuole. E poco importa se lo fa attraverso la musica, i costumi, le movenze, le smorfie, il trucco, quel modo strano di reggere il microfono: tutti insieme questi linguaggi raggiungono una potenza insospettabile.
Anche attraverso questo secondo outfit, che fa parte di una performance studiata al millesimo, Achille Lauro dimostra di essersi ormai creato un personaggio. Anzi, tanti personaggi sempre diversi. È un fenomeno in continuo divenire, un mutaforma poliedrico difficile da circoscrivere, prevedere. Ha inventato un codice lauriano: o lo ami o lo odi. Oppure lo consideri un alieno ma lo rivaluti, come sta capitando a tanti. Perché è bravo nel padroneggiare tanti mezzi espressivi e la moda, con il supporto di Alessandro Michele, svolge nelle sue esibizioni un ruolo fondamentale.
Poi sarà la volta dell’indizio n°tre: due maschere, quella che ride e quella che piange, commedia e tragedia, simbolo del Teatro. Nella quarta serata all’Ariston, Lauro tornerà a esibirsi con il suo pezzo, Me ne frego, non si sa in quale veste, ma con l’ambizione di restare scolpito nella mente di chi lo guarda e lo ascolta.
Lui, che è un po’ come un’opera incompiuta di Michelangelo – passateci il paragone –, uno dei “prigioni” che si torce per uscire dal marmo, per riuscire ad avere un senso compiuto. Chissà se al quarto e ultimo look sanremese si trasformerà nel David che cita nel suo testo…
Massimo Falcioni per "www.blogo.it"
Terza serata del Festival di Sanremo senza fine, conclusasi cinque minuti dopo le due di notte. Un record di durata che però si è portato dietro qualche inevitabile inconveniente. E così, quando all’una e quaranta sul palco si è presentato Francesco Gabbani, ultimo della lista, il teatro Ariston presentava diverse poltrone vuote.
il teatro mezzo vuoto durante l'esibizione di francesco gabbani 2
Il cantante, vestito da astronauta, ha portato in scena la cover de L’Italiano di Toto Cutugno. Una performance curiosa e a suo modo originale, incapace tuttavia di raccogliere l’attenzione che meritava.
Limiti e controindicazioni di un’edizione affollatissima, con ben ventiquattro cantanti in gara che per la prima volta si sono ritrovati a convivere tutti assieme in una puntata che, tra l’altro, risultava asciugata dall’assenza eccezionale di Fiorello.
L’orario di uscita è spesso oggetto di polemica da parte degli artisti. Oltre a condizionare l’attesa dietro le quinte, l’ordine di scaletta influisce sull’esito del televoto (ancora inattivo) e sulla vivacità del pubblico in sala che col passare delle ore comincia comprensibilmente a sentire la fiacca.
il teatro mezzo vuoto durante l'esibizione di francesco gabbani 1
Evitare il campo largo della platea, a quel punto, sarebbe stata la scelta più consigliabile.
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