Ottavio Cappellani per “La Sicilia”
Sergio, ti scrivo queste parole (lo sai, non saranno le ultime, fondo non muore mai nessuno, è il titolo di un tuo bellissimo libro) così come tu verresti fossero scritte. Facevi una splendida pasta al forno, nella tua bella casa di Taormina frequentata dal bel mondo letterario italiano: e questo, se permetti, è già un ottimo motivo per spararsi.
Sto parlando di Sergio Claudio Perroni (63 anni) che ha deciso di spararsi in centro a Taormina, vicino al San Domenico, scelta non peregria per chi lo conosceva. Erede della famiglia proprietaria dell’acqua Ciappazzi (quante risate) aveva dedicato la sua esistenza alla letteratura: come agente, come talent scout, come traduttore e come scrittore.
Dopo tanto peregrinare si era rintanato nella “sua” Taormina. E qui, Sergio, mi viene di citare Manlio Sgalambro: “Ahi la provincia, quanti nervi ci bruciò”.
Con la sua vespetta sembrava un Gregory Peck di “Vacanze Romane” ma come se fosse stato un pugile vestito dal principe di Galles. Sì, aveva questo vezzo (provinciale, provincialissimo), indossare i completi principe di Galles con le calze bianche corte, come a dire al mondo “io posso permettermelo”.
Ha editato i più grandi scrittori italiani e tradotti i più grandi scrittori esteri, risultato: qualche riga di citazione. I suoi libri non hanno mai avuto il successo meritato.
E’ stata una giornata di frenetiche telefonate oggi. Perché? Un amore? Una malattia? Nessuno aveva notizie né sospettava di una cosa del genere. Ma d’altronde, suicidi che hanno queste cause sono private, da impiccagione nel tinello, o in una solitaria campagna. Sergio no, si è sparato in pieno centro storico a Taormina, il suo regno. Un gesto quasi regale direi, se non fosse un gesto fesso. Potevi chiamarmi. Non lo avrebbe mai fatto. Sapeva che io disprezzavo il mondo editoriale in maniera genuina mentre lui aveva quell’atteggiamento da “wannabe”, vorrei ma non posso. E invece avrebbe potuto, se non fosse stato quello che davvero era: un duro dal cuore tenerissimo.
Al momento ci sono delle indagini in corso, non so cosa ne verrà fuori. Ma chi ha conosciuto Sergio sa che questo è un suicidio profondamente letterario, che almeno dovrebbe avere la funzione di creare rispetto nei confronti degli scrittori, quelli veri: ogni scrittore vivo è uno scrittore scampato al suicidio.
Sergio mio, sei stato molto snobbato in maniera perfida, da quelli che si dicevano tuoi amici, lo so. Si meritavano questo “colpo di teatro”? La scelta come si sa sta in ognuno di noi. Io vi ripeto quello che diceva Manlio Sgalambro: “Bisognerà spararsi, prima o poi. Ma fatelo soltanto in un momento di felicità e non di depressione”.
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