DAGONOTA
Il futuro e’ vecchio! Ieri sera, alla Fenice di Venezia, Damiano Michieletto ha cancellato opera, operetta e quant’altro: la sua “Vedova allegra” mescola alto e basso, la storia e la scoria, bel canto e valzer, emozione ed erezione, jazz e musical, twist e rock (assolo di chitarra del tenore, manco fosse Eric Clapton!), film musicali (‘’Grease’’) e can can, commedia e avidità (la scena è trasportata in una banca). uno show irresistibile e licenzioso.
Alberto Mattioli per La Stampa
Voglia di frivolezza? I teatri d’opera italiani, anche quelli più «grandi» e più sussiegosi, riesumano un genere che si pensava ampiamente decotto: l’operetta. Alla Scala danno Die Fledermaus di Strauss in una strana versione mezza italiana e mezza tedesca; alla Fenice rispondono da stasera con La vedova allegra in lingua originale (finalmente, per inciso), dunque Die lustige Witwe. A Carnevale ogni Lehár vale, d’accordo. Ma a Venezia hanno deciso di rischiare. Tedesco a parte, l’operetta celeberrima è affidata al più talentuoso quindi discusso regista d’opera italiano, Damiano Michieletto. Anche la bacchetta è quella che non t’aspetti, Stefano Montanari, già violinista molto «ba-rock» e poi di solito sul podio per un repertorio da Händel a Rossini (che comunque sta provando, perché nel cartellone stakanovista della Fenice la Vedova si alterna con Il barbiere di Siviglia, e li dirige tutti lui).
Montanari, che ci azzecca lei con Lehár?
«È la domanda che mi faccio anch’io! L’importante però è non avere preconcetti».
Quali preconcetti?
«L’operetta non è un’opera di serie B, è un altro genere, un mondo diverso. Aggiungo: musicalmente affascinante e tutt’altro che facile. Apparentemente semplice, sempre raffinato, piuttosto emozionante».
Di solito per l’operetta si oscilla fra frivolezza un po’ ebete e estenuazione decadente da colonna sonora del finis Austriae...
«A me quel che interessa è far emergere la verità dei sentimenti. L’operetta non è solo frivolezza. Certo, ci vuole leggerezza. Ma La vedova allegra è piena di spunti drammatici, poetici, veri. Non direi decadenti».
Con Michieletto come si è trovato? Vuole contribuire anche lei all’infinita querelle degli antichi e dei moderni?
«Figuriamoci. Se c’è un regista che conosce il libretto e la musica e dialoga sempre con il direttore è proprio Damiano. Credo che non ci siano regole: regia “tradizionale” non significa necessariamente “fedele”, e viceversa. Per me si può andare anche molto oltre al concetto originale. Ecco, magari una Tosca che muore fucilata invece di buttarsi, come vidi una volta a Sydney, magari anche no...».
Quindi la «Carmen» con lui ammazzato da lei non le è piaciuta?
«Non lo so, non l’ho vista. Da come me l’hanno raccontata, credo di no».
E questa «Vedova» Michieletto & Co. dove l’hanno messa?
«Il primo atto, nella Pontevedro Bank, anche perché alla fine tutto ruota attorno ai milioni di Anna Glawary. Il secondo è una balera Anni ’50, il terzo l’ufficio dove Danilo scalda la sedia, salvo venire risvegliato dalle grisettes. Alla generale il pubblico ha gradito moltissimo».
Parliamo del suo look: ammetta che sulla sua immagine di direttore metallaro ci marcia.
«Ma no. Semplicemente, mi piace vestirmi così. Per anni ho suonato in giacca e cravatta, in smoking, in frac. Beh, io quando dirigo voglio essere comodo, in giacca e maglietta. Non ho piercing, solo qualche anello. Poi se qualche volta ho voglia di mettere i pantaloni di pelle e gli anfibi, perché no? Guardi che ci rimetto. So per certo che c’è un festival che non mi invita perché non metto il frac».
È proprio necessario infilarsi la bacchetta nella t-shirt?
«Succede solo quando, oltre a dirigere, accompagno i recitativi al cembalo o al fortepiano. È successo la prima volta durante un Barbiere a Palermo. Non sapevo dove appoggiare la bacchetta e me la sono infilata nella schiena. Nessuno scandalo».
Approfitti dell’intervista per dire dove le piacerebbe dirigere.
«Io voglio lavorare solo nei posti dove posso farlo bene. Del resto, mi chiamano dappertutto. Mi manca la Scala, sì; ma non credo che dovrò aspettare molto».