Tommaso Labranca per Liberoquotidiano.it
Il vero artista del Novecento è stato inafferrabile, impossibile da rinchiudere in gabbie stilistiche o mediatiche. Non solo agli alti livelli culturali ci si chiedeva se Dino Buzzati o Alberto Savinio fossero più scrittori o pittori. La regola era ancora più vera nel mondo della cultura pop, dove il nome dell’artista diventava un marchio di fabbrica con il quale etichettare le produzioni più diverse.
Il primo di questi nomi che viene in mente a tutti è sicuramente quello di Andy Warhol, messo smesso a garanzia di opere che lui nemmeno aveva pensato, dai film diretti da altri ai dischi dovuti al genio di Lou Reed. E la stessa Nico si trasformava da cantante in attrice in modella in socialite.
Maurizio Arcieri è stato un perfetto esempio di artista inafferrabile del Novecento. E in tutto ciò che faceva è riuscito sempre a essere il meno italiano possibile. Sino da quando aveva iniziato la sua carriera come cantante «beat», etichetta che voleva dire tutto e niente, un po’ come l’attuale «hipster», ma che dava l’idea di qualcuno che si poneva fuori dalle convenzioni, lontano dal mondo classicheggiante delle Canzonissime e dei gorgheggi.
I New Dada,?la sua prima band di successo, si buttava sull’avanguardia sino dal nome. Maurizio ai tempi girò anche l’immancabile musicarello, ma proprio non riusciva a integrarsi con il resto della produzione musicale nazionale che parlava ai giovani.
Non ricordo nemmeno più il titolo del film, ma ho ben presente una lunga sequenza in cui Maurizio cammina per un mercato in periodo natalizio. Biondo e avvolto in un lungo pastrano militare sembra più simile a Limonov che a Morandi, Little Tony e gli altri idoli pop coevi dalle fattezze mediterranee.
Quando il beat morì e migliaia di giovani ribelli destinati alla pancia e alla calvizie si ritirarono a vita privata, Maurizio decise di diventare ancora più ribelle e si lasciò affascinare dal punk. Quando durante un suo concerto, anticipando il pulp e le tendenze autolesionistiche degli emo di trent’anni dopo, Maurizio si tagliuzzò un dito facendolo sanguinare davanti al pubblico in delirio, il calendario di Frate Indovino ironizzò dicendo che, per destare davvero interesse, avrebbe dovuto «tagliuzzarsi qualcos’altro». Essere stati citati sull’almanacco del frate umbro dimostra quanto Maurizio non avesse perso un grammo di popolarità anche dopo l’era dei New Dada.
Non finì lì. Mente la musica nazionale si deliziava con marcette in stile Schlager tedesco, quelle in stile Albano e Romina, Maurizio e sua moglie, Christina Moser, scelsero l’elettronica algida. Fecero una crasi con le prime sillabe dei loro nomi e divennero i Chrisma, poi mutati in Krisma, più da «frontiere del cosmo che stanno su in Germania» secondo il distico di Finardi.
Nacquero dischi diventati oggetti di venerazione. L’oscuro «Chinese Restaurant» con l'inquietante «Lola», un tango elettronico uscito mentre i GoTan Project erano ancora all’asilo. L’agghiacciante Hybernation, uscito anche su vinile trasparente color ghiaccio, con il video di Aurora B. in cui Maurizio e Christina simulavano un rapporto sessuale.
Era il 1979, nessuno in Italia faceva i videoclip e quello dei Krisma fu il primo. Poi «Cathode Mama», più accessibile grazie al singolo «Many Kisses (Tirana Love Lunch)». Nelle interviste Maurizio parlava di essere affascinato dall’isolazionismo albanese dicendo: «Chissà, forse hanno ragione loro». E intanto produceva dischi usando solo una tastiera elettronica Casio che spingeva oltre ogni possibilità tecnica.
A un certo punto i coniugi Arcieri dissero basta. Tornarono in Italia dopo le avventure inglesi e si chiusero in una villa dal tetto irto di parabole. Passavano il tempo guardando i canali più remoti, i programmi più assurdi. Ancora una volta prima di tutti gli altri. Produssero anche una trasmissione di montaggio con le cose più strane che aveva registrato, andata in onda su RaiTre.
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Ultimamente Maurizo era molto attivo su Facebook, dove aveva condiviso spesso le idee del movimento di Grillo, ancora una conferma del suo voler essere contro tutto e contro tutti.?Mi resta un ricordo di molti anni fa, Maurizio biondo e in jeans scoloriti che staziona fuori dal negozio di elettrodomestici che il padre aveva a Milano, a Porta Romana, la vetrina orgogliosamente decorata con le copertine dei dischi del figlio. Avrò avuto cinque anni, ne rimasi affascinato e mi imposi di diventare così, alto, biondo e con i jeans scoloriti. L’unica cosa che ho realizzato è stato l’acquisto dei jeans scoloriti.