Simone Paliaga per Avvenire
«Siamo pronti a farci uccidere, popoli d' Europa, contro chiunque vorrà distruggere la nostra pace, il nostro spirito, la nostra cultura, la nostra ricchezza, e non è con i cannoni, con i carri armati, gli aerei o le formazioni militari che ci si può difendere dal pericolo di una guerra, non è solamente con questo. Occorre che chi possiede i cannoni abbia uno spirito rivoluzionario» incalza il pubblico Curzio Malaparte. È il 12 novembre 1931 e l' ex direttore della "Stampa" è invitato all' incontro organizzato a Parigi a l' École de la Paix da Louise Weiss per fare da contraltare al pacifismo di maniera di Édouard Herriot, più volte Presidente del Consiglio francese.
Grazie al Cahier de l' Herne dedicato a Curzio Malaparte, coordinato da Maria Pia De Paulis e appena pubblicato in Francia (pagine 336, euro 33,00), il pubblico d' Oltralpe dispone ora del testo della conferenza pronunciata in quei giorni dall' autore di Kaputt e di altri numerosi inediti come le lettere di Georges Valois, Salvatore Quasimodo, Daniel Halévy. A fare da filo conduttore dei tanti testi dello scrittore toscano e comporre un ritratto dalle molte facce contribuiscono Dominique Fernandez, Andrea Orsucci, Giuseppe Pardini e molti altri. Ne esce una poliedrica ricostruzione dell' avventura letteraria, culturale e politica di uno dei grandi che il Novecento l' ha raccontato ma soprattutto vissuto. Lo dimostra proprio la Conférence à l' École de la Paix, un inedito ritrovato da poco negli archivi di Louise Weiss conservato alla Bibliothèque Nationale de France in un faldone insieme alla trascrizione anche delle altre conferenze pronunciate quella sera. Il testo recuperato offre l' occasione di un ulteriore approfondimento sul pensiero politico dello scrittore di Prato, al tempo da poco reduce dalla pubblicazione di Tecnica del colpo di Stato.
Della conferenza non esiste alcuna versione italiana né tracce di appunti. Finora a conoscerne i contenuti erano stati solo i quattrocentocinquanta che avevano assistito all' incontro. E non fu così marginale se lo stesso Malaparte ricorda quella serata ironizzando sul pacifismo degli organizzatori, qualche mese dopo, in Analisi cinica dell' Europa apparso sul periodico "La Fiera Letteraria".
Come ricostruisce in maniera perspicua l' italianista dell' Université Savoie-Mont Blanc Emmanuel Mattiato nel saggio che introduce la Conférence à l' École de la Paix , l' argomentazione di Malaparte è sottile. Occorre prendere le distanze dalla tentazione di riconoscere nelle sue parole dichiarazioni di fede antifasciste e pacifiste in accordo con Herriot come potrebbe sembrare di primo acchito. «Non parlo come un uomo che ha paura di fare la guerra - assicura Malaparte -. Nel 1914 avevo sedici anni. Mi sono salvato dal collegio in Italia e sono venuto in Francia per arruolarmi nella Legione garibaldina (Applausi). Nel 1918 sono stato ferito a Reims e ho fatto tutta la guerra: due anni come soldato in fanteria, semplice soldato in trincea, e non come imboscato, e due anni come ufficiale delle truppe d' assalto. Siccome l' ho fatta, ho orrore della guerra». E quasi a sottolineare le distanze dal pacifismo alla moda ribadisce che «se domani, per ragioni che non voglio comprendere e che non riuscirei a comprendere, mi si dicesse: occorre marciare per difendere la civiltà, la patria e tutte queste storie, marcerei come tutti».
È vero che il soggiorno parigino dello scrittore italiano, dal 1931 al 1933, e il successivo confino in Italia, fino al 1935, dipenderanno dalle sue eterodosse posizioni politiche e dal rifiuto di rinnovare la tessera del PNF. Come è anche vero che il pacifismo non era un segno distintivo delle sinistre, soprattutto in Francia. In quegli anni tutto era più aggrovigliato di quanto siamo soliti pensare. E Malaparte in queste sovrapposizioni ideologiche ci sguazzava. Non a caso denunciava l' ipocrisia, la sprovvedutezza di classi dirigenti e di ideologie incapaci di vedere la storia in movimento. «In guerra, noi giovani e vecchi di domani, - avverte il pratese - mostreremo ai borghesi, a tutti quelli che hanno responsabilità della pace e della guerra, che sono i borghesi che guidano il mondo».
Alla fine diventa complicato distinguere tra chi vuole la pace e chi la guerra. E Malaparte lo sa bene grazie a quello spirito "machiavellico" che aveva ispirato la Tecnica del colpo di Stato .
«La parola patria, nel vecchio senso, - incalza Malaparte gli uditori - non basta più alle generazioni attuali. C' è qualcosa da difendere, e lei, signor Presidente, l' ha detto bene. Quando si predica la necessità dell' Unione europea e della pace si difende la propria famiglia di più e con maggiore effetto di quanto la si difenda nelle trincee durante la guerra. È con l' organizzazione della pace che si difende la propria famiglia (...) è con il sentimento della pace che si considera nelle nuove generazioni la possibilità di una rivoluzione. È tramite il pacifismo che si pensa a fare una rivoluzione se si obbligano le nuove generazioni a andare in trincea».
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