Davide Di Santo per “il Tempo”
EZIO GREGGIO - JERRY CALA - MASSIMO BOLDI - CHRISTIAN DE SICA
C' è stato un momento in cui Jerry Calà ha provato il brivido, pardon la libidine, di vincere il Premio della critica italiana al Festival di Berlino. Era il 1993 e l' attore nato a Catania e cresciuto tra Milano e Verona, esploso con i Gatti di Vicolo Miracoli e film come Vado a vivere da solo e Pony Express, inni leggeri ai sognanti anni '80, era stato chiamato da Marco Ferreri per Diario di un vizio. Jerry era il protagonista, un venditore ambulante erotomane e stralunato, e la sua interpretazione gli valse il riconoscimento della critica più engagé per la quale fino al giorno prima era visto come fumo negli occhi.
«Quello è stato un momento bellissimo. Da Natalia Aspesi ad Aldo Grasso, tutti mi applaudivano. Poi molti critici mi hanno chiesto scusa per come mi avevano trattato in precedenza, stroncando tutti i miei film. Ma quando ho ricominciato a fare commedie hanno ripreso a parlare male di me!», racconta a Il Tempo Calà.
Quello non poteva essere un punto di svolta nella sua carriera, come per altri comici?
«Quel film era troppo avanti. Abatantuono fece il salto con Regalo di Natale di Pupi Avati che ha avuto un grande successo di pubblico. Il film di Ferreri è rimasto un fenomeno di nicchia. Speravo che poteva essere un momento di svolta ma i registi "seri" non mi chamavano. Poi è stato lo stesso Ferreri a dissuadermi: "A Jerry, se non vai a fa' Abbronzatissimi te prendo a calci nel c... L' attore è come una put..., deve fare tutto, non mi diventare come...", ma non posso dire i nomi che mi fece, che sono ex comici ora serissimi. E così sono tornato a fare commedie».
Stava per fare Scemo di Guerra di Dino Risi, ma poi la parte è andata a Beppe Grillo.
«Ho dovuto anche pagare delle penali per tirarmi fuori. Non l' ho fatto perché il personaggio era una "tinca", come si dice a teatro quando uno è il protagonista ma è passivo. Scemo di guerra è un film di un grande regista che però non ha fatto entrare il suo protagonista nella storia del cinema. Alla fine ho avuto ragione io».
A proposito di Grillo: come lo vede come politico?
«Se Reagan ha fatto il presidente degli Stati Uniti tutto è possibile. E poi rispetto aTrump sembra uno serio, come un commercialista o un geometra. Ma non parlo di politica, in giro ci sono troppi colleghi che danno giudizi da politologi, io mi astengo».
A settembre, dopo ritardi e slittamenti, uscirà al cinema 2017 Odissea nell' ospizio, un nuovo film con i Gatti di Vicolo Miracoli. Come è nato?
«Dopo aver parlato tanto di giovani e discoteche mi è venuta la voglia di ritrovare i vecchi compagni di viaggio Umberto Smaila, Nini Salerno e Franco Oppi ni. E ho sentito la necessità di parlare della nostra età. Di noi, i quasi anziani che non vogliono mollare. Il film infatti parla di quattro ex artisti che si erano lasciati perché si stavano un po' sulle palle e si trovano imbucati in una casa di riposo dove dovranno riunirsi per salvare la struttura che naviga in brutte acque. In più all' ospizio vengono assegnati dei profughi, e la convivenza nel microcosmo diventa difficile.
In mezzo a tante commedie sui quarantenni Peter Pan finalmente una sugli over 60! La storia dei profughi mi è venuta così, ma mentre giravamo il film i giornali hanno iniziato a parlare proprio di questo: dei richiedenti asilo assegnati alle case di riposo. Ho capito che avevo colto nel segno. Come quando ho girato Vita Smeralda: poco dopo l' uscita del film scoppiò lo scandalo di Vallettopoli».
La telenovela Boldi-De Sica dimostrala difficoltà del genere del Cinepanettone. Si propone lei per tornare ai film di Natale con de Laurentiis?
«Quando li facevo io si chiamavano commedie. Come Vacanze di Natale che l' anno prossimo festeggia 35 anni, Sapore di mare o Yuppies. Film leggeri, talvolta sopra le righe ma molto divertenti senza essere volgari. Poi negli anni le commedie sono diventate Cinepanettoni perché ricalcavano sempre la stessa formula, in più si sono cominciate e sentire battute un po' così. Ma il film di Natale è sempre un momento liberatorio per il grande pubblico».
Allora si propone?
«Assolutamente sì, magari chiama Aurelio! Sul web a milioni chiedono uno Yuppies 3, ma per il momento non si riesce a quagliare».
Come lo immagina ambientato oggi?
«La chiave può essere: che fine hanno fatto gli Yuppies degli anni '90? Uno sarà fallito e disperato, un altro ricco sfondato, uno in galera e il quarto pensionato e felice su una spiaggia in Portogallo».
Sembra aver già scelto il suo ruolo...
«Già mi ci vedo spaparanzato al sole con un mojito in mano».
Nella metà degli anni '70 coni Gatti è partito da Verona in cerca di fortuna. Che ricorda di quel periodo?
«È stato indimenticabile, avventura pura. Creatività senza paura, con nulla da perdere. Poi cresci e gli altri ti mettono addosso timore di sbagliare un film, di perdere tutto. Quando abbiamo riempito il primo teatro è stata un' emozione. Era al Lirico di Milano, ci siamo appostati nel bar di fronte a vedere la gente che entrava e non ci potevamo credere. Ma io vivo ancora on the road come agli esordi. Faccio centinaia di spettacoli l' anno: uno show autobiografico che ripercorre la mia vita in musica, racconti e immagini.
L' emozione di aspettare la gente in teatro la vivo ancora tutti i giorni. È la mia seconda giovinezza. Mi dà entusiasmo e soprattutto da vivere, con la crisi che c' è al cinema».
Ultimamente si è buttato sul rap: la sua Ocio sul web ha milioni di visualizzazioni...
«Mi lancio ancora senza paura in cose nuove. J -Ax mi ha chiamato eho detto: facciamolo. Il mondo dei rapper è divertente. Fanno tutti i duri, in realtà sia J -Ax che Fedez sono ragazzi tranquilli, normali e gentili. Fanno parte di quelli cresciuti coi miei film. Rispetto alla wave americana con i rapper che si sparano per strada la nostra genia hip hop è fatta di bravi ragazzi».
Vado a vivere da solo, Pony express... Lei ha spesso interpretato il ruolo del giovane che fa di tutto per essere indipendente. Oggi come vede il mondo dei ragazzi?
«Quei film sono i romanzi di formazione della generazione cresciuta negli anni '80 e raccontavano la voglia di libertà. Oggi Vado a vivere da solo non lo potrei più fare, sono i genitori ad andare via per togliersi di torno i figli. Noi siamo cresciuti con genitori severi e punitivi, dare uno scappellotto non era reato. Se portavi a casa una nota tuo padre ti picchiava, non andava a protestare con la maestra. I genitori di oggi sono iperprotettivi e per loro i ragazzi hanno sempre ragione. Ci sono le eccezioni, ma i ragazzi di oggi non hanno fame, e non hanno l' urgenza di trovare il loro spazio. Ma è anche vero che non c' è lavoro».
Lei è nato in Sicilia da una famiglia molto severa.
«Severa e non ricca. Siamo emigrati prima a Milano poi a Verona. Sono cresciuto in un ambiente molto controllato. Sono uscito di casa la sera a 18 anni. Poi mi sono rifatto, eh, e non mi sono fermato più».
In arte Jerry, ma Calogero all' anagrafe.
«Ai miei tempi davanti alle case vuote c' erano ancora i cartelli "non si affitta ai meridionali". E chiamarsi così non aiutava... Il primo giorno di scuola quando formavano le classi nel cortile non rispondevo all' appello. Mi presentavo dopo: sono Calogero, che c... ci devo fare? E tutti ridevano. L'ironia è stata la mia prima difesa».
gerry cala al suo arrivo alla feltrinelli (3) marina suma claudio bonivento jerry cala