Alberto Mattioli per “la Stampa”
chailly sala meyer nuova stagione della scala
Usato sicuro, modernariato, passato che non passa: definitela come volete, ma il senso è questo. La nuova stagione della Scala, presentata questa mattina con la dovuta pompa e il debutto della grafica rifatta (tutto sommato, accattivante) sembra concepita da Mariano Rumor. Siamo all'estremismo della moderazione, al radicalismo della prudenza, al rifiuto programmatico di ogni rischio: rassicurante, certo, ma stimolante pochino.
Lo si vede, al solito, sul fronte registico, dove scopriamo di essere negli anni Novanta: riesumati Hugo De Ana per "I vespri siciliani" (incredibilmente in italiano) e Yannis Kokkos per la "Lucia di Lammermoor" già saltata per Covid come Sant'Ambroeus di due anni fa. Dal Pleistocene arriva "La Bohème" di Zeffirelli e dall'età del bronzo "Le nozze di Figaro" di Strehler, insomma la solita idea del teatro come museo o eterno ritorno del sempre uguale.
Il non imprescindibile "Amore dei tre re" di Montemezzi è affidato alla Fura dels Baus già ampiamente brasata, mentre vengono meritatamente riprese un paio di inaugurazioni recenti, il "Macbeth" di Davide Livermore e l'"Andrea Chénier" di Mario Martone, e anche "Il barbiere di Siviglia" di Leo Muscato al quale, ormai titolare della commedia alla Scala, viene dato anche un capolavoro barocco come "Li zite 'ngalera" di Leonardo Vinci in napoletano settecentesco (per intenderci, i "zite" non sono i maccheroni per il pasticcio ma i fidanzati e la "galera" non è il carcere ma la nave).
Le nuove produzioni vere sono alla fine quattro: la stupenda "Salome" di Damiano Michieletto, già montata per lo streaming in epoca Covid, "Rusalka" di Dvorak per Emma Dante (buona idea, questa), il "Peter Grimes" di Britten per Robert Carsen, una garanzia, e "Les Contes d'Hoffmann" di Livermore, anche se non si capisce bene in quale versione. Da un teatro che presenta i "Vespri" tradotti tutto è possibile, anche che si riesumi la Choudens, quando dovrebbe essere pacifico, come in tutto il mondo civilizzato, che si usi l'edizione critica. In ogni caso, chissà quando a Milano scopriranno l'esistenza di Barrie Kosky o di Simon Stone o di Tobias Kratzer, oppure di qualche giovane italiano promettente che pure esiste. Ma la paura di rischiare è paralizzante.
Il 7 dicembre, come ampiamente anticipato, si apre con il "Boris Godunov" di Musorsgkij, e già pregustiamo le sciure impellicciate e i divini mondani alle prese con il russo. Riccardo Chailly ha scelto di presentare l'ur-Boris, la prima versione dell'opera, quindi senza l'atto polacco. Però la si dovrebbe eseguire di fila, senza intervallo, il che è impossibile a Sant'Ambroeus per gli imprescindibili riti mondani, quindi pare di capire che alla fine l'intervallo ci sarà.
La regia è di Kasper Holten, già responsabile del fantastico "Ring" di Copenhagen, poi un po' sparito: in ogni caso, non farà o non gli faranno fare nulla di troppo innovativo. Protagonista, il formidabile basso Ildar Abdrazakov, e scelta giustissima benché non voluta (il "Boris" era deciso ben prima della guerra) quella di aprire con un titolo russo, in un momento in cui si sprecano censure, rimozioni e richieste di abiura. Qui bravissimo il sovrintendente, Dominique Meyer, che su autori e artisti russi è molto chiaro: "Non sono per la caccia alle streghe. Non sono per la cancellazione delle opere russe e quando leggo Puskin non mi nascondo".
boris godunov con Ildar Abdrazakov
Poi appunto "Salome" non ridiretta, purtroppo, da Chailly che la fece meravigliosamente ma da Zubin Mehta se starà bene, con una protagonista, Vida Mikneviciute, a me ignota. I "Vespri" hanno una buona compagnia (da segnalare l'alternanza fra Marina Rebeka e Angela Meade) e la direzione di Fabio Luisi; buono il cast anche dei "Contes" (Grigolo, Abdrazakov, Buratto, Guida, Antoniozzi) ma difficile da condividere la passione dell'attuale dirigenza per Frédéric Chaslin, che domani sera dirige la prima di "Gioconda".
Il Vinci è affidato a degli specialisti (andateci perché il titolo merita), per "Lucia" torna Chailly con la coppia Oropesa-Florez e un gran lusso anche di comprimari, in "Chénier" accanto a Yoncheva (se mai canterà) si alternano Eyvazov e Kaufmann, in "Macbeth" diretto da Bisanti tornano Luca Salsi in prima compagnia e Anna Netrebko in seconda, mentre Michele Mariotti, il più grande direttore della sua generazione, è parcheggiato nel Montemezzi. Due le direttore: Eun Sun Kim per Puccini e Simone Young per Britten. Anche questa stagione niente Wagner, ma nelle prossime arriverà il nuovo "Ring" Thielemann-McVicar (anche qui: primo, prudenza).
Solito rutilante contorno di sette balletti, concerti fra i quali l'Ottava di Mahler diretta da Chailly, recital di canto e pianistici, orchestre ospiti e così via. Annunciato anche un restyling della facciata del teatro per rifarla come Piermarini la concepì. I motivi d'interesse non mancano, quelli di perplessità nemmeno, ma al di là delle opposte estetiche o di gusti e disgusti personali quella che proprio non si riesce a decifrare è la linea culturale e artistica del teatro. Facendo sospettare che in realtà non ci sia.
SERGIO E LAURA MATTARELLA ALLA SCALA la scala milano alberto mattioli