Florian Bayer E Andrew Müller per “la Stampa”
Nick Mason è il batterista dei Pink Floyd. Il suo ultimo album è uscito nel 1994, ma poche settimane fa Mason ha pubblicato, insieme al chitarrista David Gilmour, la prima canzone dei Pink Floyd dopo tanto tempo. Hey Hey Rise Up è una collaborazione con il cantante ucraino Andriy Khlyvnyuk, che canta a cappella una canzone patriottica, accompagnata dal tipico sound dei Pink Floyd. La guerra l'ha scosso tantissimo, dice Mason, ma una reunion dei Pink Floyd non è all'orizzonte, ci vorrebbe «qualcuno del calibro di Nelson Mandela».
Gilmour e il suo ex compagno di band Roger Waters sono ai ferri corti da decenni. Mason suona stasera alla Reggia di Stupinigi, alle porte di Torino, con il suo gruppo Saucerful of Secrets, fondato nel 2018, che prende il nome dal secondo album dei Pink Floyd, e suona soltanto canzoni dei Pink Floyd degli esordi.
Suona con musicisti più giovani e sembra divertirsi molto. Si sente più libero che con i suoi vecchi colleghi David Gilmour e Roger Waters?
«Tornare sul palco è divertentissimo. Ma mi piaceva anche suonare con Roger e David e guardo al passato con molto affetto. Nel corso degli anni i Pink Floyd possono aver vissuto molte divisioni, ma mai sul palco, suonare è sempre stato un divertimento».
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Come cattura lo spirito delle vecchie canzoni con la sua nuova band?
«Non sentiamo l'obbligo di suonare ogni canzone esattamente come era stata incisa. Possiamo maneggiarle in una maniera rispettosa, o almeno lo spero, aggiungendo però qualcosa di più. Quasi tutto il vecchio materiale non veniva suonato dal vivo spesso, forse per un anno, per poi uscire dal nostro repertorio».
A guardare indietro, c'è un momento della storia dei Pink Floyd che lei ama di più?
«Non c'è un momento. Molti credono, per esempio, che il momento migliore era quando potevamo prenotare dei jet e suonare per 900mila persone. Ma in realtà ho dei ricordi molto felici di un pullmino che ci portava in Scozia. Ho una collezione intera di ricordi meravigliosi, da quando eravamo una boyband, almeno in base all'età, a oggi che sono un nonno in concerto».
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Waters e Gilmour non si parlano ancora, giusto?
«Giusto».
Lei è rimasto per anni in mezzo a questo conflitto, ma parla con entrambi.
«La mia sensazione è di non poterci fare molto. Non ha senso stare in mezzo. Lascio a loro il compito di risolverlo, se mai lo risolveranno».
Waters è famoso per il suo linguaggio polemico. Durante la pandemia ha deciso di scrivere le sue memorie. La prospettiva la spaventa?
«No, non mi spaventa. Anzi, le sto aspettando. Roger pensava che le mie memorie sarebbero state un grande romanzo, e sospetto di pensare qualcosa di simile delle sue».
Nel 2014 lei aveva detto alla rivista tedesca Spiegel di essere un po' il Ringo Starr dei Pink Floyd. è bello raccogliere oggi il riconoscimento forse mancato in passato?
«Non ho mai pensato di meritarmi più di quello che ho avuto. Sono sempre stato molto sereno rispetto a quello che faccio e al posto che occupo. Mi piacerebbe vedere la mia band venire riconosciuta per quello che sta facendo, invece che sulla mia carriera da solista».
Lei è l'unico membro dei Pink Floyd ad averne sempre fatto parte, suonando in tutti gli album. Lo deve al fatto di essere un po' più umile e meno egocentrico degli altri ?
«Sarebbe bello, ma non credo. Più che altro per i batteristi è più difficile intraprendere una carriera solista. Inevitabilmente si finisce di tenere più al gruppo che si ha, invece di pensare a fondarne un altro. Mi ci sono voluti cinquant' anni per arrivare a capirlo».
Una volta ha detto di non venire riconosciuto in pubblico. Le piace questa situazione?
«Oh, è una grande fortuna. Ho viaggiato con parecchia gente famosa, per anni, e cercare di sfuggire alla necessità di incontare, salutare e comportarsi bene diventa un lavoro a tempo pieno. No, la mia è la situazione ideale, davvero».
Una domanda che potrebbe darle fastidio: non pensa che esista una chance di reunion dei Pink Floyd?
«Non è fastidiosa, semplicemente la risposta è sempre la stessa: non vedo la possibilità di una reunion. L'unica possibilità sarebbe che un personaggio equivalente a un Nelson Mandela convocasse un evento per portare la pace o farebbe finire la fame nel mondo. Un evento come Live 8».
Parliamo di Hey Hey Rise Up, la prima nuova canzone dei Pink Floyd in tanti anni, registrata con David Gilmour e il sample della voce del cantante ucraino Andriy Khlyvnyuk. La canzone parla di guerra, e tutti i proventi vanno all'Ucraina. Come è nata l'idea?
«È tutto merito di David. Lui aveva suonato con la band di Andriy, sua nuora è ucraina e aveva un forte desiderio di fare qualcosa. Mi aveva chiesto se volevo aderire, e io ho risposto "assolutamente sì". È stata una grande idea. Penso anche che sia stato molto intelligente il modo di affrontare la canzone: prendere l'intera parte vocale a cappella e poi costruire l'accompagnamento. Di solito non si fa così. Penso che David abbia fatto un lavoro incredibilmente intelligente, che ha prodotto una musica memorabile».
Lei è personalmente toccato dalla guerra in Ucraina? Ha ricordi o amicizie personali?
«Penso che sia molto molto triste. Tra l'altro, dovevamo suonare sia a San Pietroburgo che a Mosca, abbiamo dei fan favolosi laggiù. Ma dubito molto che tornerò in Russia mai nella vita. È un'amara delusione».
C'è un messaggio che volevate trasmettere con questa canzone?
«Ci sentiamo tutti impotenti, e questa è la sensazione più triste. Dal mio punto di vista, il messaggio è questa musica, molto meglio che rilasciare dichiarazioni».
I Pink Floyd hanno fatto molte canzoni estremamente politiche, sull'epoca di Thatcher, la guerra delle Falklands ecc. Quanto vuole essere politico nella sua arte?
«Il problema è che io non sono uno che scrive. Sono gli scrittori a trasmettere messaggi. Roger in particolare. È notevole che David si sia sentito subito così coinvolto. Per me si tratta più di sostenere chi scrive le canzoni, invece di fare qualcosa a titolo personale».
Lei suona anche in sale più piccole di quelle cui era abituato ai tempi dei Pink Floyd.Le piacciono questi concerti minori?
«Oh sì. Credo che quasi tutti i musicisti sappiano che è bellissimo vedere tutto il pubblico.
In uno stadio, riesci a ottenere l'attenzione forse del 70%, ma c'è sempr eun 25 o 30% che intanto gioca a frisbee o si sta drogando, o comunque non si sent e parte dell'evento. È fantastico stare in un bel posto dove interagire con il pubblico».
Un tour di molti mesi può essere stancante a 78 anni. Perché no n si rilassa e si gode i la sua collezione di auto?
«Per quanto io ami le mie auto, la cosa migliore che so fare è suonare. Non voglio diventare il proprietario di un garage, sono un batterista».
Quindi non è il suo ultimo tour?
«Spero di no. Non credo che ne farò un altro altrettanto lungo. Il prossimo sarà più breve, oppure ci porterà soltanto in posti nuovi, o esotici».
Quale musica ascolta oggi?
«Temo di ascoltare soprattutto roba dei miei coetanei: Eric Clapton o Jimi Hendrix, o Johnny Mitchell, Linda Ronstadt o simili. Non sono alla ricerca di nuove scoperte, non perché la musica nuova non sia buona. È buffo, ma musicalmente credo di essere finito in una trappola temporale. Succede, perché quando sei giovane la musica significa di più».
Cosa è importante nella vita?
«Prima di tutto viene la famiglia. Soprattutto se avete vissuto una vita come la mia, in cui la famiglia è stata un po' sacrificata perché non stavo molto a casa. L'importante è amare quello che si fa, se possibile. Il lavoro e il gioco dovrebbero fondersi in una cosa sola. Bisognerebbe non riuscire più a distinguere».
Se potesse tenersi una sola delle sue automobili, quale sceglierebbe?
«La Ferrari 250 GTO».
È valutata 40 milioni di sterline.
«Ed è giusto perché è tante cose: un'auto da corsa e touring, ha un aspetto meraviglioso e una gioia assoluta da guidare. Inoltre mi fa sentire incredibilmente intelligente per averla comprata 40 anni fa».