Estratto dell'articolo di Giuliano Ferrara per “il Foglio”
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Gli stessi che hanno scambiato un harem brianzolo fatto di party in amicizia e di cene sboccate e molto eleganti per una associazione a delinquere, per un’offesa al senso comune del pudore, per un attentato alla dignità dello stato e della funzione di presidente del Consiglio, quegli stessi boccoloni e falsi creduloni che hanno ordinato e seguito con disciplinata malizia pedinamenti, origliamenti, allo scopo di abbattere uno che aveva vinto le elezioni anche per riformare e limitare l’onnipotenza supplente dei magistrati politicizzati, hanno poi tentato di vincere almeno uno dei tre processi ora celebrati, quello per corruzione in atti di giustizia, un bel premio di consolazione con abbondanti pene richieste dall’accusa e respinte dal tribunale con formula ultrapiena. Ora dicono che è un errore procedurale dell’accusa a avere causato questo sconquasso, come quando dissero che Andreotti era stato assolto ma anche condannato.
Non capiscono che un’accusa che si vale di procedure sbrigative e brutalmente in contrasto con il diritto processuale è il miglior argomento per noi garantisti contro lo strapotere di certe toghe militanti. Bah. Si consolano anche ironizzando sulla “nipote di Mubarak”, Karima El Mahroug, senza capire che quella era un’invenzione di fertile spessore solidale per evitare guai e pasticci giudiziari a una giovane persona del giro, un gesto di fantasia sbrigliata e umanamente molto comprensibile, visto che non era rimasto ucciso nessuno e nessun patrimonio, salvo quello del Cav., e in ragione proporzionalmente minima e volontaria, era stato attaccato.
FERRARA IN MUTANDE MA VIVI E CON SILVIO
Si consolino pure. Siamo generosi, noi sporcaccioni. Tutto è perdonato in linea di principio. In linea di fatto però qualcosa di imperdonabile resta. La mejo stampa soi-disant laico-liberale ha pucciato il biscotto in questa brodaglia di pregiudizio e vanità etica, di falso senso dello stato, e ha fatto da scorta vigilante alla peggiore inchiesta giudiziaria degli ultimi decenni, a processi in cui la Principessa dell’accusa si è fidata di alludere alla “furbizia orientale” della signora El Mahroug con toni di sfondo razzista e sessista, molestie da #MeToo prima del #MeToo.
E c’è un’Italia che ha seguito compunta e indignata questa commedia leggera come se fosse in gioco la norma democratica. Da piangere e da ridere. Il politicamente corretto non è sempre stato la slinguazzata episodica di Sanremo o la fluidificazione del genere sessuale.
C’è stato un politicamente e eticamente corretto di segno inverso, e consisteva nel mettere, come faceva sornione il grande direttore generale della Rai Ettore Bernabei, i mutandoni alle ballerine. Il conformismo ha sempre lo stesso segno un po’ ridicolo, quando punisce preventivamente la trasgressione immaginaria in nome del comune senso del pudore e quando organizza commercialmente la trasgressione in nome dei diritti e della identity politics.
giuliano ferrara ilda rossa di procura
In fondo quando noi sporcaccioni e servi ci siamo riuniti al grido “Siamo tutti puttane”, quando ci siamo imbellettati di rossetto, fluidi antemarcia, per opporre qualcosa di sapido al pudore di stato, quando ci siamo messi in mutande o in mutandoni, dicendoci “In mutande ma vivi”, in un teatro milanese affollato di dadaisti anticonformisti, questo abbiamo fatto: ci siamo opposti a una delle varianti, la più sordida forse alla luce della sua invadenza sul terreno della democrazia e della divisione dei poteri, del correttismo.
Ma quando il fatto non sussiste, il correttismo muore.