LOREDANA VUOTA IL SACCO - LA BERTÉ NELL'AUTOBIOGRAFIA DIVIDE IL MONDO IN STRONZI E FRATELLI - GLI STRONZI SONO I MARITI, LO PSICOPATICO E IL PLAYBOY, E I GENITORI PERVERSI E VANITOSI - IL FALÒ È SPENTO, MA È STATO STRAORDINARIO, NELLE BELLEZZE E NELLE NEFANDEZZE

Pistolini: ''Nel libro scritto con Malcom Pagani ricostruisce una gran vita orribile, un pianeta adesso disabilitato, come quello showbiz da favola del Ventesimo secolo, la Roma del Piper, “Bandiera Gialla”, Warhol. Sempre per mano a Mimì, la cantante impegnata, e lei quella scavezzacollo, un po’ maschiaccio e un po’ mignotta...

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LOREDANA BERTE TRASLOCANDO BIOGRAFIA LOREDANA BERTE TRASLOCANDO BIOGRAFIA

Stefano Pistolini per "Il Foglio"

 

loredana berte loredana berte

La tremenda eretica Loredana Bertè ha scritto la sua autobiografia, con l’aiuto del giornalista Malcom Pagani, e l’ha fatto col suo stile – ovvero di getto, svuotandosi lo stomaco delle cose che le pesavano, inanellando ricordi, facendo nomi e cognomi, dicendo tutto il bene delle persone che ha amato, e tutto il male di quelle che, secondo lei. hanno incanalato la sua vita in una direzione un po’ maledetta.

 

Il libro si chiama “Traslocando – E’ Andata Così” (Rizzoli), perché tutta la vita di Loredana è stata “così”, un rincorrere posti, persone e occasioni, un po’ per voglia, un po’ per necessità, soprattutto per vocazione: lei insieme alla sorella Mimì, inseparabili e tenaci nei bestiali anni dell’infanzia e dell’adolescenza, che ora ripercorre come una clessidra infernale, da cui calano botte, privazioni, insidie sessuali, infelicità e orrore.

 

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Loredana rimette tutto in fila, vuota il sacco, e ogni tanto si sente la mano del cronista, che riempie i vuoti, verifica i fatti, sistema le gesta elettriche della popstar, nell’indispensabile cornice di quelli che furono i tempi e gli stili d’una musica italiana e di una florida società ambulante dello spettacolo che adesso non esiste più. Tutto è al passato nelle memorie amare della Bertè, il presente è un’ansia di normalità un po’ operosa, un cercare di dar forma a una qualche attività con cui sbarcare il lunario e tirare avanti.

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Il falò è spento, ma è stato straordinario, nelle bellezze e nelle nefandezze. L’unico potere che le è rimasto è di raccontare tutto, tenendosi stretta giusto i ricordi dai quali non le va di separarsi. In altri tempi questo libro avrebbe fatto rumore e destato scandalo, adesso chissà: magari lo scandalo verrà subito ridimensionato dalla reputazione perduta che la circonda, donna d’eccessi e di pericoli se ce n’è una, per come si parla di lei, per le voci che corrono e le etichette che si appiccicano.

 

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Stanca, indelebilmente ferita dalla morte di Mimì vent’anni fa (seppure ne parla come fosse ieri) con un impressionante tempo fermato, coi suoi rimorsi e gli incolmabili rimpianti, Bertè ci dice la sua verità con lo slancio sfacciato di chi non guarda in faccia nessuno, perché niente ha da perdere.

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E ricostruisce quel mondo che, per il carattere irrequieto e irrituale che ha, vede diviso in bianco e nero, amici e nemici, stronzi e fratelli. E gli “stronzi” che invoca così, senza mezzi termini, sono nelle sue pagine prima di tutto i genitori perversi e vanitosi, poi i due mariti, quello psicopatico di Bjorn Borg e il playboy Roberto Berger, che pare uscito dalle pagine di un fotoromanzo.

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L’affetto lo riserva a quelli con l’hanno mai tradita: i vecchi amori come Adriano Panatta e Mario Lavezzi, i flirt affettuosi e forse un po’ mitomani con enfant gaté come Luca di Montezemolo, Federico De Laurentiis e il povero Paul Getty Jr., compagne di bisboccia come Aida e Stefania Rotolo, artisti che ha solo sfiorato come Lucio Battisti e Fabrizio De André, o coi quali ha vissuto un sodalizio vero, come Ivano Fossati.

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Mentre i quattrini le corrono per le mani, e trasloca tra brutte case nella Roma suburbana o nell’hinterland milanese e diventa la Pasta Queen della Factory di Andy Warhol, va al “54” con Mick Jagger, si ritrova a fare la compare di balocchi di Michael Jackson. Un pianeta adesso disabilitato, come quello showbiz da favola del Ventesimo secolo, come la Roma del Piper dove Lory approdò da Porto Recanati, brigando per diventare “collettona” del balletto di Rita Pavone, per fare la figurante nei musicarelli, passare il sabato pomeriggio a “Bandiera Gialla” con Arbore e Boncompagni.

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Sempre per mano a Mimì, la cantante impegnata, e lei quella scavezzacollo, un po’ maschiaccio e un po’ mignotta, con le leggendarie minigonne mozzafiato e Renatino Zero, amico del cuore e partner in mille mattane (fin quando anche con lui ha avuto la meglio il carattere cattivo, e tutto è finito in vacca, addirittura tra avvocati e carte bollate).

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Una gran vita orribile, che ci piacerebbe vederle raccontare davanti a una telecamera, con gli spezzoni in bianco e nero, quei look favolosi, quelle intonazioni flessuose, provocanti e un po’ sparite. Loredana alla fine è stata stritolata in un paese che adesso non è per vecchi, ma prima non era per i diversi.

 

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Che se ne stia lì raggomitolata, rabbiosa ma ancora con una scintilla negli occhi, è un fatale segno dei tempi. Che quelli come lei siano eroi sbagliati, che svaniscono nel sottofinale, è risaputo. Che per lei si provi grande tenerezza è inevitabile. Che la cosa la faccia mortalmente incazzare è praticamente sicuro. 

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