Selvaggia Lucarelli per il “Fatto Quotidiano”
selvaggia lucarelli fabio de vivo
20 febbraio 2010. Matteo Renzi non era ancora premier ma sindaco di Firenze, Twitter non era ancora Twitter ma un social per pochi intimi e il nostro presidente del Consiglio twittava così: “e stasera cinemino con la moglie. In attesa di Invictus, qualcuno ha suggerimenti da proporre?”. Insomma. Non c’era ancora Sensi che gli correggeva le maiuscole a inizio periodo, Renzi praticava ancora la democrazia e ogni tanto portava quella santa donna di Agnese a svagarsi anziché a rompersi i maroni negli stand Nutella.
Il 6 novembre 2010 tornava a twittare così: “dà la buonanotte con Invictus!” (soggetto sottinteso: Matteo Renzi). Continuava a non esserci Sensi a correggergli le maiuscole, ma il futuro premier aveva già abbandonato la strada della democrazia e parlava di sé in terza persona come la D’Urso e Maradona.
Leopolda 2010. Matteo Renzi faceva il suo appassionato intervento partorendo un bel mappazzone di citazioni e riferimenti cinematografici e indovinate un po’? Ci infilava dentro Invictus. A questo punto, per quelli che non lo avessero visto, va spiegato brevemente di cosa parli questo benedetto Invictus che nel 2010 ossessionava il nostro premier e la cui ossessione spiega molte scelte recenti.
Il film, diretto da Clint Eastwood, racconta il periodo in cui Nelson Mandela, dopo la caduta dell’apartheid, divenne presidente e si trovò davanti un paese spaccato dall’odio razziale. Da una parte c’erano i bianchi, dall’altra i neri. Mandela, con una geniale mossa politica, capì che l’unico modo per avere consensi da entrambe le parti e unire il Paese, passava attraverso un collante trasversale: lo sport. Prese a cuore l’amatissima (dai bianchi) Nazionale di rugby, ne seguì in prima persona le sorti fino al Mondiale, la ammirò negli stadi seduto in tribuna, divenne amico del capitano e alla fine la Nazionale vinse pure il mondiale. Mandela divenne un eroe e la squadra un simbolo dell’integrazione. E ora torniamo a Renzi e alla sua ossessione.
Nel 2012, sempre da sindaco di Firenze, Matteo Renzi sale su un aereo e vola in Sudafrica per urgenti ragioni politiche. No, non deve seguire la finale del torneo di bocce su sabbia con un fiorentino in finale. Deve consegnare a Mandela l’ambitissimo riconoscimento “Fiorino d’oro”, roba che come potrete immaginare, Mandela dopo averla ricevuta spostò la targa del Nobel su una mensola in bagno accanto al collutorio e mise il Fiorino d’oro in salotto. Nel 2013 Mandela muore. Allora Renzi in pieno delirio ossessivo ha una trovata che fa storia: su Facebook pubblica la sua foto con Mandela come i vip che si fingono sempre amici dei morti celebri e prima Civati, poi tutto il web minacciano di buttarlo nell’Arno con un Fiorino d’oro di sei etti appeso al collo.
Renzi toglie fantozzianamente la foto, poi diventa premier e sembra rimuovere per un po’ la sua ossessione. Sembra, perché la sindrome Invictus è sempre in agguato. Negli ultimi mesi c’è l’avanzata di Salvini. La questione immigrazione divide l’Italia. Lui un po’nicchia, aspetta di capire cosa fa l’Europa. Dice e non dice, fa come i migranti sui barconi: naviga a vista. Poi sull’onda emotiva della foto di Aylan fa la voce grossa.
Ma intanto medita, pondera, ordisce e come sempre accade quando gli serve ispirazione eccolo lì, gli appare l’ectoplasma di Mandela. La sindrome di Invictus lo possiede e capisce che l’unico modo per riprendere consensi e unire il paese, l’unico modo per riappacificare afrikan e neri, salviniani, pidini, grillini e pure i migranti appena sbarcati è abbracciare la passione più universale del mondo: lo sport.
Renzi non è più Renzi, è Mandela nel 1995. E allora eccolo lì dieci giorni fa arrivare al Gp di Monza in elicottero come Mandela che in elicottero andava a motivare la Nazionale di rugby agli allenamenti. Eccolo sfilare sulla griglia di partenza e applaudire Il Volo che canta l’inno e anche se il nostro inno non è proprio “Nko - si sikelele Africa”, che gli frega, mica è patriottismo, è marketing.
RENZI US OPEN, POSTATA DA SENSI
Poi fa il tweet bimbominkia a Valentino Rossi e infine tocca alla Pennetta. Capisce che gli Us Open possono essere la sua finale del ’95 e allora non bada a spese. Quell’aereo che nel ’95 sfiorò lo stadio del Sudafrica per celebrare la Nazionale di rugby, Renzi se lo prende per andare in America con i suoi fedelissimi.
Non bada a spese pur di emulare Mandela. Pur di esserci. Sì, abbiamo capito che c’era la fiera del Levante, ma volete mettere che figo un premier che va a New York anziché uno che va a Bari? Ubi Pennetta, orecchietta cessat.
renzi con pennetta e vinci dopo finale us open, dal suo profilo facebook 60
E allora vai con le foto di rito e con quelle del suo fido Filippo Sensi, che lo ritrae come Mandela a mani giunte in mezzo allo stadio, trasfigurato da una racchetta da tennis. Ora poi, c’è da scommetterci, ci saranno il basket, il rugby, i tornei di freccette e naturalmente il prevedibile ritorno allo stadio, perché Renzi lo sa che ok, va bene Mandela, va bene il rugby, ma in Italia tira più un pelo di Fifa che un carro di buoi.