Marco Giusti per Dagospia
Se ne va uno degli attori italiani di maggior culto del nostro cinema horror e di genere, ma anche ottimo attore di teatro e personaggio assolutamente anomalo dello spettacolo italiano, Giovanni Lombardo Radice, 67 anni, noto anche come John Morghen in una serie di film che fecero il giro del mondo, da “Apocalypse domani” di Antonio Margheriti a “Paura nella città dei morti viventi” di Lucio Fulci, da “Cannibal Ferox” di Umberto Lenzi a “La chiesa” e “La setta” di Michele Soavi.
Figlio del matematico Lucio Lombardo Radice, fratello dello psicanalista e scrittore Marco (“Porci con le ali”), nipote di Laura Lombardo Radice, sposata con Pietro Ingrao, e nipote, da parte di madre, di Arturo Carlo Jemolo, giurista, avvocato della Fiat e della Banca d'Italia, Giovanni Lombardo Radice si mosse in un mondo fin troppo ricco di cultura e politica e, per non venirne schiacciato, si dedicò presto, e attivamente, al teatro.
Prima quello underground, poi le scene più politicizzate con Gian Maria Volonté e quelle più classiche con Giorgio Strehler, Aldo Trionfo, Giancarlo Cobelli (“Il Mercante di Venezia”), Carlo Cecchi, Gigi Proietti ("Gaetanaccio"), ma fu anche direttore artistico del Teatro della Cometa di Roma, dove recitò assieme alla moglie, Alessandra Panelli, la figlia di Paolo Panelli e Bice Valori.
Bello, atletico, colto, intelligente, con un inglese fluente, cosa rara al tempo, Inizia a lavorare nel cinema nel 1980 con i maggiori registi di thriller e horror, da Ruggero Deodato, che gli offrì il suo primo ruolo in “La casa sperduta nel parco”, a Antonio Margheriti in “Apocalypse domani” da Lucio Fulci, autore di “Paura nella città dei morti viventi”, dove viene trapanato nel cervello (aiuto!) a Umberto Lenzi in “Cannibal Ferox”, col quale litiga tutto il tempo e rompe per sempre.
Tutti film dove Giovanni Lombardo Radice si ritagliò personaggi violenti pronti a una brutta fine inseguiti da zombi e cannibali. E’ con quei titoli che si impone come una star del nostro cinema bis prendendo il nome di John Morghen, un nome non usurpato, visto che tra i Morghen c'erano dei suoi suoi avi, incisori tedeschi. Lo troveremo anche in “Impatto mortale” di Fabrizio De Angelis, in ben tre film di Michele Soavi, “Deliria”, La chiesa” e “La setta”, in “Body Puzzle” di Lamberto Bava.
Ma farà anche film diversi, da “I soliti ignoti vent'anni dopo” di Amanzio Todini, supervisionato da Mario Monicelli, a “Ricky & Barabba” di Christian De Sica, all’erotico “Eleven Days, Eleven Nights” di Joe D'Amato. Negli anni ’80 è attivo anche in tv in produzione interessanti e non tradizionali. Lo troviamo così in “Flipper” di Andrea Barzini, nello sperimentale “Majakowski” di Gianni Toti, in “Progetto Atlantide” di Gianni Serra. Duttile, pronto a qualsiasi ruolo, arrotonda però anche con produzioni più popolari, come il curioso “L'isola del tesoro” di Antonio Margheriti, dove la celebre storia di Robert Louis Stevenson diventa una storia di fantascienza.
Con la crisi del cinema di genere negli ultimi vent’anni, si alternerà tra piccoli ruoli in produzioni anche importanti, “Gangs di New York” di Martin Scorsese, “Prendimi l'anima” di Roberto Faenza e piccole produzioni internazionali indipendenti. Qualche anno fa scrisse una imponente autobiografia, “Una vita da zombie”, ricca di aneddoti di ogni tipo, soprattutto sulla sua importante famiglia.
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