Massimiliano Parente per ''il Giornale''
«Obbligheremo Netflix a dare più visibilità a serie e film italiani», ha dichiarato il ministro Dario Franceschini. Io gli risponderei ma pensa per te, paghiamo Netflix proprio per non vedere le serie italiane, e poi cos’è, il Minculpop? Già adesso su Netflix devi fare lo slalom per non imbatterti in Don Mattei e commissari Montalbani, dovendo continuare a pagare il canone Rai anche se non la guardi, e a suo tempo abbiamo votato un referendum per privatizzarla.
Ma Dario Franceschini è uno scrittore (ahimè), e magari spera che anche dai suoi romanzi sia tratta una serie. Lo hanno già fatto con Roberto Saviano, lo stanno facendo con Elena Ferrante, perché quanto a scenari e fantasia siamo rimasti al neorealismo, quindi in generale meglio ambientare tutto al Sud, a Napoli o in Sicilia, al massimo a Roma. Se proprio Franceschini vuole obbligare Netflix a fare qualcosa, la obblighi a non ispirare serie televisive dai romanzi italiani, anche perché Gomorra, Suburra e romanzi criminali è il massimo che possiamo dare, e abbiamo già raschiato il barile.
In generale ci piace mischiare casa, chiesa, criminali, commissariati, medici in famiglia, ma perfino gli scandinavi sanno fare di meglio, basta guardarsi The bridge, che è come un poliziesco scritto da Ibsen o da Strindberg. Non oso pensare cosa potrebbe uscire fuori se si mettessero a sceneggiare i romanzi di Mauro Corona, Erri De Luca, Alessandro Baricco o dello stesso Franceschini.
Un tempo si diceva: «È meglio il libro o il film?». Oggi la risposta è: meglio la serie, soprattutto se non italiana, soprattutto se non tratta da romanzi italiani. Da noi vincono premi prestigiosi (si fa per dire, non abbiamo premi prestigiosi) libri di narrativa perennemente stracciona, storie pugliesi, vicende montanare, caos calmi (rigorosamente calmi), e si è aggiudicato uno Strega (di cui è giurato anche il suddetto Franceschini) perfino Il desiderio di essere come tutti, la storia di uno che da piccolo (si chiama Piccolo anche l’autore) sognava di essere Berlinguer, immaginatevi che serie tv potrebbero venirne fuori.
Immaginate un analogo di House of cards italiano: l’unico su cui si potrebbe fare una serie di livello, avventurosa, romanzesca e senza pezze al culo, è Silvio Berlusconi, infatti Sorrentino ci ha girato un film, e ce ne aveva fatto un altro anche Nanni Moretti.
Non c’è una storia, da noi, che non sia intimistica, poveristica, consolatoria, predicatoria, regionalistica, neppure nella narrativa di genere, ammesso esista ancora questa distinzione, perché il romanzo più avvincente nella trama ma anche più avanzato nel pensiero, più moderno e documentato scientificamente, l’ha scritto uno scrittore popolare, e mi riferisco a Origin di Dan Brown, un capolavoro. Questo sì che meriterebbe una serie (americana, ovviamente, perché noi al posto dello scienziato immaginifico ispirato a Elon Musk ci metterebbero al massimo un cialtrone tipo Davide Vannoni).
LIBRO DARIO FRANCESCHINI DISADORNA
Mentre dall’Inghilterra arriva la quarta stagione di Black mirror, dove ogni puntata è una riflessione distopica e alienante che oltre a intrattenere fa pensare, noi amiamo serie come Lampedusa – Dall’orizzonte in poi, con Claudio Amendola nei panni del solito maresciallo (un maresciallo non deve mancare mai) e i migranti, che piacciono molto al pubblico di sinistra.
A tal punto che pochi mesi fa la Rai, quella che piace tanto a Franceschini, ha mandato in onda una serata da suicidio con Alessandro Baricco che leggeva Furore di Steinbeck, e non per parlare dei migranti americani al tempo della grande depressione degli anni Trenta, ma raccontare di quelli che arrivano da noi dall’Africa, che c’entrava come il cavolo a merenda. Comunque tutti commossi, quant’è bravo Baricco, quant’è sensibile Baricco, speriamo non vogliano fare una serie anche su Oceano mare.
In ogni caso a noi vengono fuori pezzenti perfino le storie di supereroi: mentre Netflix sforna una serie più bella dell’altra, dando vita alla meravigliosa mitopoietica dell’universo Marvel, da Daredevil a Jessica Jones, da Luke Cage all’ultimo, magnifico The punisher, basti pensare a come ce la siamo tirata per un film come Lo chiamavano Jeeg Robot, acclamato da tutti come un capolavoro, un supereroe in salsa italiana, ovviamente ambientato a Roma e parlato in romanesco, come se a Franco Citti, l’accattone di Pasolini, fossero venuti i superpoteri.
Vero è che siamo pure svantaggiati: negli Stati Uniti possono raccontare la storia di Unabomber nella strepitosa serie Mindhunter, anche noi abbiamo avuto un Unabomber, solo che non possiamo neppure copiarli perché essendo italiani non l’abbiamo mai preso, ci manca l’FBI.
Io in generale ho l’impressione che le serie tv italiane vengano fatte apposta per far lavorare gli attori italiani che non vuole più il cinema (e anche il cinema italiano non è che sia messo bene), eppure a questo ci sarebbe rimedio, butto lì un’idea a Franceschini: visto che all’estero non lo vuole nessuno, prendiamoci Kevin Spacey. Non avremo una storia, ma almeno abbiamo un attore numero uno, è un buon inizio per cambiare rotta.
BLACK MIRROR Black Mirror Ep kevin spacey