Barbara Tomasino per “Libero Quotidiano”
Nelle ultime settimane il grande escluso dai "prestigiosi" premi letterari è stato Aurelio Picca, nonostante il suo ultimo romanzo, Il più grande criminale di Roma è stato amico mio (ed. Bompiani, pp. 256, euro 17) sia stato considerato da critica e lettori un libro potente, intenso, profondamente esistenzialista.
Eppure Picca, autore con svariati successi alle spalle, resta indigesto allo Strega e simili, con quel suo profilo iconoclasta che non si piega alle mode del momento e che rifugge ogni forma di conformismo. Ama definirsi un uomo libero, ma si sa che spesso in Italia la libertà si paga.
AURELIO PICCA IL IL PIU GRANDE CRIMINALE DI ROMA E STATO MIO AMICO
Picca, niente Strega, Campiello o Comisso, eppure il suo è un libro unanimemente riconosciuto come importante....
«Io non sapevo manco di essere stato chiamato al Campiello, né agogno al Premio Strega, non intendo certo fare la parte della vittima. Diciamo che l' avrei sicuramente vinto ai tempi di Elsa Morante e Raffaele La Capria. Oggi noto un cinismo che è espressione del mondo. La letteratura è un gioco di carriera. Nessuno ha un mestiere, credono tutti che fare lo scrittore sia il mestiere e così si innesca una competizione senza esclusione di colpi per guadagnare quel poco che c' è sul piatto».
Cosa sono i premi quindi oggi?
«La cacca delle rondini dell' arte e specchio del mondo come è messo».
Vuole dire che prima era diverso?
«Forse un tempo i premi erano espressione di una società letteraria, non che non ci fossero i magheggi, ma erano tradimenti "alti". Ora siamo allo scarto, ad una condizione palese di combine...
Ad esempio: chi seleziona i giurati dei premi? E perché ci sono quelle persone e non altre?
Ogni anno c' è questa ridda dove i carrieristi si intrufolano, sono come macchine truccate che dovrebbero gareggiare nella categoria dilettanti, ma stanno in Formula Uno».
Questa gara "truccata" coinvolge tutto il mondo letterario?
«Premi, istituzioni, editori, autori, per libri che hanno vita sempre più breve votati all' inseguimento di un orrendo politicamente corretto, che ti porta a mettere forzatamente tutti gli ingredienti del momento: un omosessuale, un migrante, e così via.
In questo sono d' accordo con Walter Siti (autore del pamphlet Contro l' impegno, ed. Rizzoli, n.d.a.). Ho scritto un libro ambientato negli anni '70, non potevo rivolgermi ad un personaggio chiamandolo "gay", sarei sembrato ridicolo, all' epoca si diceva froci. Un migrante nel mio libro lo metto se è funzionale al racconto, non ce lo ficco a forza per stare al passo con le mode».
Insomma, non è allineato con i tempi...
«Non mi ritrovo in un' ideologia conformistica post ideologica, post perché è come tutta la melma del tardissimo sventurato impero. Uno scrittore come me quando scrive lo fa per necessità, è un' urgenza. Sono un uomo antico: non dico per chi voto, non dico con chi vado a letto, e per la mia cultura dico sono un eterosessuale, non dico che sono "fluido" come si usa oggi. I miei libri parlano della vita e della morte, questi sono i poli con i quali si destreggia l' arte».
Sente un appiattimento nella narrativa italiana?
«Noto soprattutto con gli esordienti un lavoro di editing pazzesco, molti testi si somigliano e anche all' interno di uno stesso libro a volte ci si trova davanti a due stili completamente differenti.
I miei libri, sin dagli esordi, erano complicatissimi da toccare perché ho sempre avuto un mio stile riconoscibile... Hanno provato a sostituire puzza con cattivo odore, ma non funziona. Una volta scrivere un libro significava inventare il mondo. Moravia diceva: i politici lavorano per il relativo, gli artisti lavorano per l' assoluto».
È sparita l' arte che tende all' assoluto?
«Viviamo nell' attualismo, nell' usa e getta per vendere due copie in più lo scrittore deve scrivere una roba che è già nella te stadi tutti, invece dovrebbe consegnare un linguaggio, una cultura, provocare dei sentimenti. È testa, cuore, ventre.
L' arte non cambia il mondo, ma deve "incidere". Oggi si parla so lodi "ripartenza", una retorica stucchevole, il mondo era già a pezzi prima della pandemia, altro che ricostruire, bisogna rialfabetizzarlo il mondo».
I suoi libri scontano un giudizio sulla persona?
«Sono andato diverse volte in finale al Viareggio, senza vincerlo, nel 2012 ero in gara con Un addio e qualcuno dalla giuria si alzò e disse che ero un fascista.
Mi sono stancato di questo giochetto di etichette destra/sinistra, io vengo da una famiglia mazziniana rivoluzionaria, cresciuto da un patrigno togliattiano, sono un conservatore rivoluzionario. Rimando al mittente l' etichetta di destra che mi viene affibbiata da un finto mondo progressista...ecco cosa intendo per disonestà intellettuale».
Perché si arrabbia se le dico che è un outisder?
«Perché è un termine abusato, io sono un pilota da Formula Uno. La Capria una volta scrisse "Picca è uno scrittore estremo, il più estremo di tutti, solo lui è così". Forse questa mia singolarità, che dovrebbe essere un valore aggiunto, viene vista come eccessiva. Anche la mia persona può apparire eccessiva, anche se io sono estremamente semplice e al contempo, come tutti i contadini, estremamente sofisticato».
Non è mai stato intrigato dai salotti buoni della letteratura?
«Sono un vero scrittore, e nessun vero scrittore cavalca le ondine conformistiche. Ho sensibilità aristocratiche in un mondo dove imperversa una piccola borghesia orrenda che vuole fare arte, quando dovrebbe trovarsi un mestiere. Non mi interessano i circo letti dove quello conosce quell' altro che sta al tal premio, non ce la faccio per cultura, antropologia, orgoglio e destino».
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I FINALISTI DEL PREMIO STREGA 2021 EDITH BRUCK DONATELLA DI PIETRANTONIO GIULIA CAMINITO ANDREA BAJANI EMANUELE TREVI
«È stato onesto intellettualmente, cosa molto rara oggi in Italia».