Sofia Mattioli per “la Stampa”
«Il potere del pop risiede nel giocare con più livelli di lettura. Anche se prendi solo il ritornello è una scelta». Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina, sono dal 2011 menti e corpi de La Rappresentante di Lista. Nel Ciao ciao sanremese, certificato doppio Disco di Platino, il duo aveva condensato «la fine del mondo e crisi personali e sociali», uno spazio aperto per apocalissi tra messaggi ambientalisti e sarcastici addii su TikTok.
Ora, con il nuovo singolo Diva, il duo di base a Palermo indaga uno degli archetipi più abusati del cinema quello della diva, trasformandolo in un inno al self love. «Dobbiamo tornare a essere protagonisti, vivere con una fantasia che non c'è stata culturalmente insegnata» .
Nell'ultima intervista il focus era vivere in una perenne distopia. Dario. «Abbiamo visto la fine distopica non solo a Sanremo ma nel resto del mondo. Nello stesso periodo in cui scrivevamo Ciao Ciao, a ottobre dell'anno scorso, avevamo già gettato le prime basi per Diva. Sono in fondo sorelle, anche se è difficile dire in cosa si somigliano. Forse l'attitudine ad affrontare temi complessi con un ritmo leggero, anche una melodia travolgente può portare quel magone allo stomaco».
Quali temi?
Veronica. «Diva parla di amor proprio, del rispetto verso di sé, avere un'autodeterminazione che ci aiuti a essere protagonisti e non schiavi di logiche altrui. Riuscire a portare questi temi in un vortice che è quasi una festa, è trovare nella musica non dico una soluzione ma una forza per cambiare le cose. Dentro c'è anche il tentativo di rivalutare tutto ciò che è direzione diversa rispetto a quella che ci farebbe vincere a ogni costo, il potere dell'errore. E' un brano sul liberarci da pressioni sociali e autoinflitte».
Quando parliamo di divismo e successo cosa lasciamo in ombra?
D:.«Abbiamo vissuto anche noi dopo il successo di Ciao Ciao l'opinione degli altri secondo cui quando arrivi al successo hai tutto. Lo stereotipo secondo cui arrivare a un successo personale ti conduca all'apice della vita è erroneo, può essere vacuo se non c'è una consapevolezza del percorso fatto».
Avete avvertito pressioni dopo Sanremo?
V: «Personalmente no, noi dimostriamo, scriviamo delle nostre fragilità, è come se fosse un antidoto. Ci siamo però interessati al fallimento, abbiamo letto Spezzate. Perché ci piace quando le donne sbagliano di Jude Ellison Sady Doyle e il messaggio è che c'è spesso un vero massacro mediatico contro personaggi dello spettacolo, ha una grande risonanza online e offline. E' lo specchio della scarsa empatia che si ha verso il dolore altrui».
Spesso raccontate l'arte di mobilitare le coscienze attraverso la creatività, l'«artivismo». A che punto siamo oggi?
D. «Ora il discorso politico è spostato su piazze virtuali: da un lato è un bene, dall'altro plasma in modo diverso gli incontri. Io sono in perenne ascolto. C'è bisogno di corpi collettivi. Soprattutto ora: a Palermo, la città che abbiamo eletto come casa, alle ultime elezioni ha vinto una parte a destra il cui operato non aveva giovato alla città. Per risposta tutta la schiera di artisti si era raccolta per superare insieme i limiti della politica, ora non so dove andremo. Spero che emergano presto movimenti che possano riprendere questa città, anche noi in passato abbiamo preso parte a politiche di riappropriazione di spazi e luoghi dell'arte».
E per quanto riguarda i diritti civili? Perché è importante la mobilitazione attiva questo mese al Pride?
D: «E' un momento incredibile di rivendicazione e di lotta, di libertà e rabbia condiviso non dalla comunità Lgbtq+. Il pride è riuscito negli anni a raccogliere e far confluire altre istanze importanti. Ha un grande potere ancora.. Se penso che, in campagna elettorale, ancora vengono ancora portati avanti attacchi alla community Lgbtq+ raccogliendo consensi quasi non ci credo. Al pari delle urla di giubilo quando è stato affossato il DDL Zan. C'è tanta tristezza nella classe politica».
A proposito di corpi che affollano le piazze, il corpo è stato da sempre al centro della vostra ricerca, ancor prima da attori che da musicisti
V: «Dobbiamo riprenderci il corpo, i corpi sono vittime, in crisi continua, sottoposti al canone della bellezza attraversa tantissime epoche, ce lo portiamo dietro dai primi dipinti. Anche al lavoro il corpo è massacrato, soprattutto se sei donna, senti che devi essere performante, colmare sempre di più il vuoto causato dalla disparità di genere. Ed è una logica tossica»
La risposta?
D: «Uscire fuori, trovare appigli in una comunità. Anche un concerto è una delle occasioni che abbiamo per respirare insieme, avere un unico corpo. Nell'allestimento pensando al tour abbiamo optato per specchi per fare il modo che niente accada sul palco senza il pubblico. Il resto é pura energia».
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