Estratto dell'articolo di Marcello Sorgi per “La Stampa”
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Se l'intervista a Wojtyla, con quella doppia e contemporanea condanna del marxismo e della persecuzione che aveva ridotto tutte le varianti cristiane dell'Est in semischiavitù, e del capitalismo selvaggio che già si prepara a inserirsi nel vuoto post marxista, segna il punto d'arrivo di una carriera consumata tra Europa, America, Asia e Russia, e premiata dall'elezione e dalla lunga permanenza al Parlamento di Strasburgo, sorprendente è anche la serie degli incontri e dei viaggi, le domande e le risposte che Jas fa e riceve, in oltre quarant'anni di ordinato girovagare per il mondo.
Le rivelazioni di Castro sui retroscena dei giorni della Baia dei Porci, quando si giunse a un passo dalla terza guerra mondiale; il reportage dalla Corea del Nord, il paese più ermeticamente controllato e di più difficile accesso agli stranieri; il colloquio con Albert Sabin, scopritore del vaccino antipolio; la passeggiata in Bhutan, esotico luogo hymalaiano in cui la felicità è imposta per legge; l'inchiesta in Kazakistan, sulla violazione dei diritti dell'uomo e sugli effetti degli esperimenti nucleari compiuti dai sovietici. E poi Fidel Castro, Chan Kai Shek, György Lukács.
jas gawronski papa giovanni paolo II
Va ad Ankara e parla con Turgit Ozal, capo del governo turco che gli spiega «la necessità, per il suo Paese, di appartenere all'Europa». Torna a Parigi come corrispondente della Rai ed è tra i primi, nel 1978, a visitare il quartier generale dell'Ayatollah Khomeyni, che prepara, di lì a un anno, il ritorno rivoluzionario a Teheran. Gli rimane «l'impressione di grande disordine e mancanza di professionalità che dava questa corte in esilio. Il mio primo pensiero fu: "Come farà questa gente a governare un Paese?"».
Parla con Lech Walesa sull'aereo che lo porta a Roma a incontrare il Papa. Ma intanto, nel 1979, è diventato europarlamentare. Ed è in questa veste che presenta a Strasburgo «una risoluzione, approvata a larga maggioranza, per candidare Walesa al Premio Nobel per la pace, che gli fu effettivamente assegnato. Me ne è sempre rimasto grato». Attraverso l'evoluzione della Polonia, Gawronski percorre l'itinerario tortuoso, all'inizio, e poi precipitoso, che porta alla caduta del comunismo dopo il crollo del Muro di Berlino.
E su questa strada trova a Sofia il più coriaceo, il più tenacemente stalinista capo di uno stato satellite dell'Urss: Todor Zivkov, leader della Bulgaria, al quale trova il coraggio di chiedere cosa c'è di vero nel suo coinvolgimento nell'attentato al Papa. «Siamo gente per bene, non ci occupiamo di vicende del genere», si schermsce Zivkov. «Poi, per essere più convincente - annota Jas - aggiunse, con una delle sue risate da contadino plebeo ma non volgare: "Se davvero fossimo stati noi, pensa che avremmo potuto fallire il bersaglio?" ».
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Siamo solo a metà dell'elenco dei personaggi del Novecento di Gawronski. Mancano ancora Jimmy Carter, il presidente argentino Raul Alfonsin, il dittatore di Haiti François Duvalier, il leader della Namibia indipendente Sam Nujoma, i disperati chiusi nel campo profughi di Eli Fellah in Libia, aspettando di salire su un gommone verso Lampedusa o di essere rimpatriati nell'Africa nera.
Ma c'è anche un capitolo, forse quello in cui l'autore si concede più di qualche considerazione personale, dedicato a Gianni Agnelli: un Agnelli visto molto da vicino da chi lo conosceva bene, era spesso suo ospite e ritiene di svelare, "vizi e virtù" dell'uomo, senza indulgenza e con la franchezza che sapeva piacere all'Avvocato.
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