Andrea Carugati per “La Stampa”
«Sognavo di fare il comico ma sono finito a fare James Bond». Una dichiarazione che non ci si aspetta da Daniel Craig, eppure è così. L'aspirazione dello 007 più longevo nella storia del cinema non era quella di diventare un eroe dei film d'azione, ma di fare ridere il pubblico, e ora smessi i panni dell'agente segreto più famoso al mondo ne ha avuto la possibilità.
daniel craig glass onion knives out
Dopo il successo di Cena con Delitto è tornato infatti nei panni dell'improbabile ispettore Benoit Blanc in Glass Onion, ruolo che gli è valso la nomination come migliore attore ai Golden Globes, mentre il film macina successi ed è il più visto su Netflix. Dietro l'angolo lo attende poi Luca Guadagnino per Queer, tratto dal romanzo di William S. Burroughs.
Da 007 al detective «più bravo al mondo» di «Grass Onion», un bel salto. Come ha fatto?
«Sono voluto tornare a recitare in un ruolo nel quale ho potuto esprimere una parte di me che il pubblico conosce poco ma che ho sempre coltivato. All'inizio pensavo che sarei diventato un attore comico, mi è sempre piaciuto far ridere la gente ed è sempre stato il mio sogno, ma poi le cose sono cambiate e mi sono trovato mio malgrado a fare l'attore d'azione. Ricordo che quando mi proposero di interpretare James Bond dissi ai produttori che era uno sbaglio.
Ero d'accordo con i fan, mi sembrava un'idea folle. Da Sean Connery a Daniel Craig? E invece sono diventato il James Bond più longevo della storia e Sean, ai tempi, mi mandò un messaggio di approvazione e incoraggiamento che tengo ancora molto caro. Poi, per tanto tempo, nessuno si è mai sognato di propormi qualcosa di diverso, che fosse nelle mie corde, come accaduto con Cena con Delitto e ora Glass Onion. Erano anni che aspettavo di fare film come questi».
Un genere ispirato ai gialli di Agatha Christie, che fino a poco tempo fa era scomparso dai radar.
«Era stato un po' dimenticato, ma cosa c'è di più bello che andare al cinema e godersi un bel giallo? Un giallo come quelli di una volta ma con qualche elemento che lo rende molto contemporaneo e originale.
E soprattutto divertente. Ogni personaggio del film è memorabile e il cast è stellare, non capita tutti i giorni di recitare con colleghi del calibro di Edward Norton, Kate Hudson, Janelle Monáe, Hugh Grant, Ethan Hawke e tutti gli altri che Rian Johnson è riuscito a convincere a partecipare a questa grande festa».
daniel craig e monica bellucci
È sempre stato appassionato del genere?
«La domanda che sostiene questo tipo di film è sempre la stessa: chi è l'assassino? E mi ha sempre affascinato. Da ragazzo ero un patito di quei film e di quei libri. Mi sono sempre piaciuti molto, anche se raramente ero in grado di capire chi fosse l'assassino prima della fine del racconto.
Ero un grande fan anche dell'ispettore Colombo che guardavo in modo quasi religioso e a cui mi sono decisamente ispirato per questo ruolo. Peter Falk sembrava sempre fuori dal mondo, sempre distratto, sconclusionato, caotico, ma alla fine riusciva sempre a fare confessare il colpevole e c'è molto di suo in Benoit Blanc».
Rispetto a qualche anno fa appare molto più sereno e rilassato.
«Ci vuole tanto tempo per abituarsi ad essere famosi e spesso nel processo ci si perde un po'. Devi sempre ricordarti le ragioni che ti hanno spinto a fare questo lavoro. Io ci ho messo vent' anni di carriera per imparare ad apprezzarlo pienamente e ora lo amo più che mai. Ho avuto la fortuna di avere alti e bassi e di imparare a confrontarmi con successi e fallimenti. Sono a un punto della mia vita e della mia carriera in cui mi diverto per davvero. Recitare ora mi regala le emozioni giuste».
E di James Bond cosa le è rimasto? Alla fine era trapelato che non lo tollerasse più.
«Quando ho detto che mi sarei tagliato le vene piuttosto che reinterpretarlo intendevo dire che avevo bisogno di un break. Ho amato essere stato Bond. È una cosa rara interpretare un personaggio così iconico. È una delle esperienze più intense e appaganti che abbia mai fatto, ma ci vuole molta energia per interpretarlo e non volevo diventare ridicolo».
E quindi lo ha ammazzato?
«Solo per farlo rinascere e ricominciare. Poi non sono certo l'unico colpevole della sua morte, anche se con Barbara (Broccoli, storica produttrice dei film tratti dai libri di Ian Fleming di cui la sua famiglia detiene i diritti, ndr.) abbiamo dovuto organizzarla di nascosto dallo studio, che era decisamente riluttante all'idea e si era opposto fermamente. Ma con Barbara avevamo un accordo e credo che anche lei fosse dell'idea di cominciare un nuovo capitolo».
Quale accordo?
«Dopo il roboante successo di Casino Royal, anticipato da un sacco di critiche nei miei confronti per non essere un Bond come tutti gli altri, visto che avevo le orecchie a sventola, ero troppo basso, troppo biondo e troppo, o troppo poco un sacco di altre cose, mi confrontai con Barbara e le chiesi quanti film ancora avrei dovuto fare secondo lei. "Tre? Quattro?". Lei mi disse quattro. Io ci pensai e dissi ok, ma a una condizione: "Alla fine lo voglio uccidere"».
Ecco, risolto il giallo: è stato lei.
«Confesso, come accade sempre con Colombo, Poirot e il mio nuovo amico Blanc. Però c'è da dire che è morto nel momento di maggior felicità della sua lunga vita e onestamente non avevamo che questa scelta a disposizione. E poi aveva trovato quello che stava cercando, era il momento giusto. Alla fine, come tutti noi che abitiamo sulla terra, anche James Bond cercava solo amore».
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