LA ROMA DEI GIUSTI - ''STAN & OLLIE'' SULLA VITA DELLA COPPIA COMICA PIÙ CELEBRE DEL '900 È UNO SPLENDORE, BEN SCRITTO, BEN GIRATO, E BENISSIMO INTERPRETATO - IL NUOVO ''MILLENNIUM'', UNICO FILM IN ANTEPRIMA MONDIALE, SI VEDE MOLTO VOLENTIERI, CON UN CAST DI FEMMINE FORTI, DA CLAIRE FOY DI ''THE CROWN'' A SYLVIA HOEKS, MENTRE I MASCHI HANNO RUOLI UN PO’ MOSCIONI

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Marco Giusti per Dagospia

 

 

 

 

 

Festa del Cinema di Roma - Stanlio e Ollio di John S. Baird

 

stan & ollie stan & ollie

“Mi ami?” chiede Ollio. “Certo che ti amo”, risponde sua moglie Lucille. “Ma come fai a amare un ciccione come me?” gli chiede lui. “Non ti permette di esprimerti così su mio marito”, chiude lei. Benvenuti nel mondo di Stan Laurel e Oliver Hardy, delle loro mogli, Lucille e Ida, del loro manager Bernard Delfont, che li seguì nella loro lunga tournée in Inghilterra.

 

Diciamo subito che l’aspetto più sorprendente di questo precisissimo biopic sulla più celebre coppia comica del 900, Stanlio e Ollio, diretto dall’inglese John S. Baird, scritto da Jeff Pope, tratto da un romanzo, ma anche dalle fondamentali biografie di John McCabe, mostrato oggi alla Festa di Roma, è proprio la credibilità dei Mr. Laurel e Mr. Hardy interpretati dall’inglese Steve Coogan e dall’americano John C. Reilly.

 

Grazie anche al trucco, certo, la somiglianza è pazzesca, ma grazie anche alla recitazione dei due attori che riescono non solo a ricostruire la precisione delle gag dei due comici, ma riescono a renderli veri e commoventi. Nel 1953, l’anno in cui tutto il film si svolge, a parte due scorribande iniziali nel 1937, mentre girano I fanciulli del West con Hal Roach produttore e James W. Horne regista, e nel 1947, quando Ollio rimasto da solo sotto contratto con Roach è costretto a “tradire” l’amico girando con Harry Langdon Zenobia, Stanlio e Ollio sono due comici vecchi e malati che hanno visto tempi migliori. Quelli del vaudeville, del muto, delle grandi comiche sonore degli anni ’30.

 

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Ma i loro lungometraggi degli anni ’40 con la Fox e la MGM, fuori dallo stretto controllo del genio di Mr Laurel, sono stati dei disastri.  E da lì è iniziato il declino, unito alle passioni di entrambi per l’alcool, le donne, il gioco. Si rimettono insieme, un po’ malconci, per un tour europeo, gestito da Bernard Delfont, che sarà il loro ultimo tour assieme. Un tour di grande successo, anche se interrotto dalla cattiva saluta di Ollio. Ma, come sempre accade nel mondo dello spettacolo, gli attori vivono solo sul palcoscenico e lì metteno in scena se stessi e i loro personaggi.

 

Quando si tratta di una coppia, poi… Il film è piuttosto fedele come ricostruzione dei rapporti tra i due, dei rapporti matrimoniali, Ollio se la vede con la minuscola e decisa Lucille Hardy, interpretata da Shirley Henderson, Stanlio con la prepotente Ida Laurel, interpretata da Nina Arianda. E è perfetto anche nella messa in scena del loro spettacolo teatrale itinerante.

 

Va detto però che sceneggiatore e regista si prendono la libertà di unire sotto la stessa tournée, datata 1953, tre tournée inglesi diverse, quella del 1947, quella del 1952 e quella del 1953. Le due settimane al Palladium di Londra e l’idea di fare al cinema un “Robin Hood” comico con una piccola produzione inglese, fa parte, ad esempio, della tournée del 1947. Anche l’arrivo delle mogli a Londra è del 1947.

 

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La cancellazione del tour per i problemi al cuore di Ollio sono invece della tournée del 1953, ma il tutto accade a Plymouth, non a Londra. Le due comiche che vediamo rappresentate, cioè “A spot in trouble”, con la stazione, e “Birds of feather”, con Stanlio che arriva con uova soda e noci a trovare Ollio all’ospedale, fanno parte di due tournée diverse. Il viaggio verso l’Irlanda non potrebbe essere alla fine di tutto, perché nessuna tournée finì così. Nel film, per ovvi motivi di pratica, le tre tournée sono state unite per raccontarci una storia.

 

Che è più o mena quella descritta, anche se pure Stanlio ebbe non pochi problemi fisici, che finirono con un’operazione alla prostata, e Ollio già sapeva nel 1953 di avere problemi di cuore. Ma la storia di Stanlio che seguita a scrivere il copione di “Robin Hood” e di altri sketch per la coppia è vera. Come la geniale battuta recitata da Ollio/Frate Tuck sul “rubare ai poveri per dare ai poveri… così si elimina l’intermediario”. O quella tra Ollio e Lucille che vi ho già descritto. In tutto questo il film è uno splendore, ben scritto, ben girato, e benissimo interpretato.  

 

 

 

 

 

Festa del Cinema di Roma – Millenium: Quello che non uccide di Fede Alvarez

 

Capello corto nero, occhi penetranti, tatuaggio del dragone sulla schiena, sempre vestita di pelle, pronta a ricucirsi le ferite con la spillatrice, definitivamente lesbo (o no?), torna Lisbeth Salander, l’eroina della saga Millenium, incarnata stavolta da Claire Foy, bravissima attrice inglese trentaduenne, già vista in The Crown e nel recentissimo First Man.

millennium quello che non uccide millennium quello che non uccide

 

La dirige in questa nuova avventura, dal titolo italiano un po’ tronco e un po’ sticazzi, Millenium. Quello che non uccide, che traduce il più giusto The Girl in the Spider’s Web, l’uruguagio Fede Alvarez al posto di David Fincher. Lo scrivono lo stesso regista, Jay Basu e il superesperto Steven Knight, lo sceneggiatore-regista di Locke, riprendendo il romanzo omonimo di David Lagercrantz che già riprendeva i personaggi ideati dal defunto Stieg Larsson.

 

Ricco, ben girato, benissimo interpretato da un cast di femmine forti, da Claire Foy a Sylvia Hoeks come sua sorella Camilla, rossovestita e quasi albina, e Vicky Krieps, mentre i maschi hanno ruoli un po’ moscioni, a cominciare da quello del nuovo Mikael, cioè Svennir Gudnasson, il film, dopo un ottimo inizio in una Stoccolma fotografata da paura, prende la piega un po’ ovvia tra un Mission: Impossible e un film di supereroi con fluidità sessuale. Sarà che deve piacere a tutti, verissimo, avremmo però desiderato qualcosa in più proprio sul personaggio di Lisbeth, che Claire Foy cerca di far suo solo partendo dal suo corpo un po’ androgino e dalle espressioni del viso.

 

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Non è bella come le due Lisbeth precedenti, Noomi Rapace e Rooney Mara, né come le sue possibili rivali per il reboot, Natalie Portman, Scarlett Johansson, Alicia Vikander, ma ha molta personalità e capacità recitative. Del resto il pur bravo Fede Alexander, attivissimo nell’horror, non è David Fincher. Ma il film ha una sua forza, soprattutto nella messa in scena delle sequenze più spettacolari in una Stoccolma gelata. Lisbeth riesce anche a guidare la sua Ducati su un fiume ghiacciato. Ma l’azione torna poi a scapito del racconto minore dei personaggi, che rimane un po’ in secondo piano. Al centro di tutto c’è un file che può fare entrare chi ne è in possesso dei comandi degli armamenti nucleari di tutto il mondo.

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Boom! Appunto… Lisbeth ne entra in possesso, su richiesta proprio del cervellone che lo aveva ideato. E lì cominciano i guai. Ci sono anche una banda di killer con un ragno tatuato, un bambino genialoide che gioca sempre a scacchi, un hacker nero infallibile, l’inutile donna del giornalista che ancora ripensa alla sua breve storia con la ragazza tatuata, la bionda che si è appena trombata la nostra eroina. Tutto il vecchio problema della vendicatrice delle donne martoriate dai maschi è risolto con un colpo di taser sulle palle di un giornalista fighetto che ha il vizio di picchiare le prostitute. Poca roba. Il resto è azione. Ma si vede molto volentieri. Unica anteprima mondiale, almeno credo, 

 

 

 

 

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