Claudio Sabelli Fioretti per il “Fatto Quotidiano”
Il dibattito sul film di Checco Zalone imperversa ed io non vorrei rimanerne escluso.
Come ha scritto molto bene Oliviero Beha, proprio ieri sul Fatto, "il dibattito pubblico sembra aver toccato le cime più alte sulla filmografia di Checco Zalone".
Il problema serio sembra essere il ruolo e il comportamento degli intellettuali. Soprattutto quelli "radical chic". Io tutte le volte che si parla di intellettuali rimango un po' interdetto. Chi sono gli intellettuali?
Da bambino, quando ero più ignorante ed ingenuo di oggi, pensavo che intellettuali fossero quelli che non lavoravano. Poi migliorai e decisi che intellettuali erano tutti quelli che non lavoravano con le mani.
Oggi sono piombato nell' incertezza più assoluta e debbo rifarmi non tanto ad Emile Zola, Felix Faure e Georges Clemanceau, ma alla fonte suprema della verità moderna, il Wikizionario, secondo il quale intellettuale è: "Persona dedita all' esercizio della mente nello studio e nella risoluzione delle questioni sociali, naturali e culturali". Cioè, anche un muratore può essere un intellettuale, ma non ditelo agli intellettuali.
Insomma anche io potrei essere un intellettuale ma non ditelo a mia madre perché si preoccuperebbe. Sembra che agli intellettuali, soprattutto a quelli "radical chic", il film di Checco Zalone non sia piaciuto.
Anzi no, sembra che sia piaciuto. Non è chiaro. In ogni caso tutti si sono precipitati a stabilire quale sia l' opinione degli intellettuali, soprattutto quelli "radical chic", sul film di Checco Zalone.
E quindi a questo punto cercare di capire chi siano i "radical chic". Non sono, come potrebbe sembrare, estremisti eleganti.
Sembra, sempre secondo la bibbia della conoscenza, Wikipedia, che siano "gli appartenenti alla ricca borghesia che per vari motivi (seguire la moda, esibizionismo o per inconfessati interessi personali), ostentano idee e tendenze politiche affini alla sinistra radicale". Insomma, gente di sinistra con l' attico a Piazza Navona e la villa a Capalbio. Nessun intellettuale, tantomeno i radical chic, ama autodefinirsi così.
Anche perché uno che decidesse di essere un intellettuale radical chic non avrebbe mai il coraggio di farsi vedere entrare in un cinema in cui proiettano Checco Zalone. Intellettuale radical chic è quindi una specie di ingiuria tipica del conservatore per bollare quelli che non la pensano come lui e non sono dei barboni e per di più hanno anche letto un libro.
checco zalone con eleonora giovanardi
Quelli di destra, una volta, si lamentavano dell' egemonia culturale della sinistra senza voler ammettere che era la scarsa voglia di leggere della destra che determinava la superiorita della sinistra. Tanto è vero che quei pochi destra che leggevano e studiavano (ricordate Marco Tarchi?) venivano considerati degli eretici, ben visti dalla sinistra e quasi confusi con dei gramsciani. Caratteristica dell' intellettuale radical chic è la spocchia, come ha ben titolato il Fatto Quotidiano ieri l' articolo di Raffaele Simone.
checco zalone con eleonora giovanardi
Ed eccoci piombati nel pieno del dibattito intrappolati nell' abile sistema di marketing della Tao di Pietro Valsecchi, produttrice del film di Checco Zalone. La spocchia dell' intellettuale radical chic si manifesta sia quando dichiara che Checco Zalone gli fa schifo con tutto il suo carico di qualunquismo populista grillinesco antirenziano sia quando dichiara che è andato a vedere il film ed ha riso dalla prima all' ultima battuta.
Sempre spocchia è. L' intellettuale radical chic è spocchioso e basta. Ma anche stabilito questo, resta da decidere se il film di Checco Zalone è politico o semplicemente fa ridere.
A prescindere dal fatto che dividere le due categorie è assolutamente arbitrario (Giovanardi è politico o fa ridere?) sarebbe facile per me, che sono un sessantottino per colpa dell' anagrafe, dirti che il personale è politico, che tutto è politico, che anche fare la pipì è politica, come vaneggiavamo il sabato al corteo.
Anche Travaglio è caduto a mio giudizio nell' inganno quando ha scritto che Checco Zalone non fa satira politica. In realtà basta stare un po' attenti per capire quanta critica (non di parte d' accordo ma questo non è un difetto) ci sia in Quo Vado.
Avendo un' amica professoressa siciliana incinta che il decreto della buona scuola ha spedito nel Lombardo Veneto massacrando una famiglia, non ho potuto fare a meno di vedere nella funzionaria sadica, quella che sbatte Zalone al polo nord, la faccia renziana del potere. E tutta la saga del posto fisso mi ha fatto ricordare i migliori film di Alberto Sordi. E non era satira quella?
Di costume, d' accordo, di costume. Ma sempre politica. Lasciatemi dire, per concludere, che a dispetto di tutto quello che ho scritto, io odio il culturame dei professoroni perché la cultura non si mangia. In fondo avevo ragione quando ero piccolo. Gli intellettuali sono quelli che non fanno un cazzo.
Ps: al contrario di Raffaele Simone io ho visto il film (vergogna Simone, non si pontifica senza il minimo del sacrificio, vedere il film), e pur non essendo un intellettuale radical chic non ho riso dalla prima all' ultima battuta e nemmeno mi ha fatto schifo. Che mi manchi la spocchia? I primi film di Zalone mi facevano scompisciare, questo mi ha fatto sorridere.
Ma consentitemi di raccontare un aneddoto che fa capire quanto io sia un intenditore di umorismo, ironia e satira (ricordate? Sono stato direttore di Cuore!). Una decina di anni or sono stavo allestendo Un giorno da pecora e con Giorgio Lauro avevamo deciso di aver bisogno di un giovane spiritoso e di belle speranze che collaborasse con noi. Mi imbattei in Checco Zalone. Prima ancora che lui se ne accorgesse, esaminai la sua produzione e lo scartai: "Questo, dissi a Giorgio Lauro, non va da nessuna parte".
CLAUDIO SABELLI FIORETTI ZALONE SABELLI FIORETTI