Dagotraduzione dell'articolo di Hanna Rosin per “Business Insider”
Era marzo di quest’anno, sera tardi quando Jennifer ha ricevuto la telefonata di un’amica: «Tua figlia Jasmine è su un sito ed è nuda». Jennifer ha subito svegliato Jasmine e insieme sono andate sull’account di “Instagram”, che sembrava un sito porno, con decine di foto di ragazzine nude, quasi tutte compagne di scuola, e vari commenti di compagni sotto.
Ed eccola, la foto di Jasmine, una di quelle adolescenti pacate, prime della classe, la faccia dolce di una Scout. Jennifer ha subito scritto al centro privacy e sicurezza di “Instagram”, ma il giorno dopo le foto erano ancora visibili. Allora ha contattato il sindaco Donald Lowe, che da anni riceve telefonate di genitori irritati perché le foto delle figlie nude vengono diffuse, in genere da ex fidanzati arrabbiati.
Dopo una ricerca, il sindaco ha scoperto che esistevano altri due account simili, con un centinaio di scatti delle studentesse della Louisa County High, in Virginia. Scatti inappropriati, pose in mutandine e reggiseno, giovani che si masturbavano, che facevano sesso con tre ragazzi alla volta. Lowe conosceva la maggior parte di loro, e i loro genitori. Qualsiasi teenager che avesse un telefono, la trovavi lì in mezzo. Gli account furono finalmente chiusi e la scuola si trasformò in una scena del crimine, con macchine della polizia a pattugliare l’entrata e interrogatori agli studenti.
Il risultato? Hanno scoperto che il “sexting” era la cosa più comune del mondo, lo praticavano quasi tutti i 1.450 studenti. La maggior parte delle adolescenti avevano la stessa storia di Jasmine: avevano mandato una foto al loro fidanzatino e, chissà come, era arrivata agli altri. Lowe ha fatto una serie di lezioni per spiegare agli studenti che diffondere simili foto di un minore costituisce reato.
Cos’ha ottenuto alla fine del corso? Confusione. Quelle ragazze erano sfruttate? Oppure stavano solo “sperimentando”? Si percepivano come vittime? Molte di loro rispondevano: “Non mi vergogno. Il corpo è mio e ci faccio quello che voglio”. E la reazione dei genitori era giusta o eccessiva? Creava un ulteriore disastro? Rendeva sporca una cosa che i figli facevano con innocenza?
Dal 2009 gli stati americani hanno approvato leggi specifiche per arginare il fenomeno e tenere i minori lontano dal giro della pedofilia. Ma hanno anche creato molta ambiguità, non facendo differenza fra due adolescenti che hanno condiviso foto volontariamente, magari perché erano fidanzati, e chi diffonde le foto senza alcun consenso, con l’unico scopo di vendicarsi e umiliare. Un “sext” è “un sext”e va punito. Punito chi si fa un selfie nudo e punito chi lo diffonde, chi lo possiede. E’ perfettamente legale fare sesso a 16 anni, ma farsi foto nudi no.
In una scuola della Pennsylvania due ragazzine hanno convinto un compagno autistico a scattarsi la foto del pene e poi l’hanno divulgata: alla fine è stato ritenuto responsabile il ragazzino autistico per essersi fatto un autoscatto porno. Chi è il carnefice e chi la vittima?
Gli studi sul “sexting” a scuola rivelano quello che ci si aspetta. Le ragazze che non lo praticano sono considerate “puritane”, rischiano di essere impopolari. I ragazzi, al contrario, sono immuni dalle critiche e non rischiano alcun danno alla reputazione. Racconta uno di loro: «Alcune ragazze sono proprio testarde, ci devi lavorare su. Devi dire: «Ti amo”, “Faccio sul serio con te”. La mattina dopo accendi il telefono e finalmente te le ritrovi nude sullo schermo».
Perché i ragazzini fanno “sexting”? Per far parte del gruppo, per essere adulti senza esserlo, per frequentare qualcuno senza frequentarlo, per fare sesso senza fare esattamente sesso. E anche perché sono oberati di impegni. Stanno a scuola fino a tardi, fanno sport, poi tocca ai compiti. La notte è l’unico momento in cui conversano davvero, attraverso i social network. Fanno “vamping,” cercano gli amici on line a ora tarda.
Se si scambiano foto nudi sono da trattare come criminali o come immaturi che commettono una stupidaggine? Le leggi dovrebbero distinguere fra ciò che è esplorazione sessuale degli adolescenti e ciò che è coercizione, violazione della privacy. Invece, per il momento, il “sexting” è inaccettabile a tutti i livelli, equiparabile alla pedopornografia.
E’ pedopornografia quella scambiata fra minori? Che valore danno, loro, a queste foto? Per la maggior parte di loro è solo un trofeo. Molti ragazzi le collezionano come fossero figurine dei Pokémon. Al porno vero, hanno accesso illimitatamente su internet.
Come devono comportarsi i genitori? Preoccuparsi di più se le loro figlie fanno “sexting” ancor prima di frequentare la scuola superiore (quando cioè non hanno pressioni di gruppo) e quando mandano foto a qualcuno col quale non hanno una relazione, solo per rispondere a una insistente richiesta. Un genitore che reagisce male, con punizioni e restrizioni, perde l’opportunità di capire cosa sta succedendo nella vita del proprio figlio.
Se chiude un account, il figlio riuscirà ad aprirne un altro che lui non riuscirà più a rintracciare.
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