Alberto Statera per ''Affari & Finanza - la Repubblica''
Ettore Bernabei, antico e sanguigno direttore generale della Rai, soleva dire che gli italiani che allora guardavano la televisione erano venti milioni di teste di cazzo. Sbagliava. Molti di quei milioni hanno scoperto, sia pure tardivamente, almeno la trappola di un genere televisivo che via via è andato gonfiandosi come la rana di Fedro per poi scoppiare: il talk show politico.
massimo giannini e giovanni floris
Genere a basso costo e produttore, tra l’altro, di utili influenze lottizzatorie ha avuto una fase piuttosto fortunata per piombare poi in un desolato spettacolo di maschere fisse quanto improbabili, una compagnia di giro di smodati presenzialisti che produce un incessante rumore di fondo.
Adesso che si avvicinano le elezioni amministrative di giugno, che condizioneranno in qualche modo gli equilibri politici del paese, il talk show politico sta dando il peggio di sé nell’insaziabilità e nel parossismo presenzialista del solito manipolo. Quante volte nelle ultime settimane siete corsi al telecomando per oscurare Matteo Salvini? Ve lo diciamo noi: 73 volte in 60 giorni, con una progressione in crescita via via che si avvicina la scadenza elettorale.
Per un totale di 18 ore di parole, sempre le stesse. L’assalto dei candidati di giugno non penalizza gli habituè, le consuete suppellettili di arredamento negli studi di Floris, Giannini, Del Debbio, Formigli, Porro, Vespa, Panella, Merlino, Paragone (e scusate se ce ne scappa qualcuno). Maurizio Gasparri e Daniela Santanché continuano a bivaccare lì, immarcescibili controfigure di loro stessi, tra una comparsata e l’altra. Quel che dicono è assolutamente irrilevante, un po’ perché le sparano a caso, un po’ perché tanto sanno che non faranno cambiare idea a nessuno.
Scivolano così nel macchiettismo. La nuvola di improbabilità è tale che persino chi di cose da dire ne ha a iosa e sa pure farlo, come il giornalista Marco Travaglio, rischia di diventare tedioso. Insomma il talk show ormai brucia i suoi presentatori e i suoi protagonisti, li usura per over exposition, li sottopone all’irritazione palpabile di quei milioni di teste di cazzo bernabeiane.
Se ne è accorto il leader della Fiom Maurizio Landini che in un’intervista proprio al Fatto Quotidiano ha detto di volersi sottrarre a chi voleva fare di lui una delle tante suppellettili televisive, una comparsa, un pezzetto di teatro che serve alla messinscena quotidiana fatta di gente ignorantissima, che non sa di che cosa parla. Vedremo se Landini manterrà l’impegno di eludere il presenzialismo mediatico, ignoto in altri paesi, come la Francia e la Germania.
TRAVAGLIO A LA GABBIA DI PARAGONE
Quanto ai leader politici non risulta ci sia un qualsiasi spin doctor che gli spieghi come l’eccessivo presenzialismo televisivo non faccia che allontanare gli italiani da loro e dalle urne. Se tocca votare quei saltimbanchi che occupano quotidianamente il video, meglio restarsene a casa.
Lo aveva già spiegato anni fa Umberto Eco nella sua Bustina di minerva sull’Espresso con queste parole: “Ai telespettatori non importa quel che dicono gli ospiti, ma solo gli scontri e gli insulti che si lanciano. E se qualcuno ha il coraggio di definire queste arene Terza Camera non stupisce che nessuno vada più a votare”.