Michele Masneri per il Foglio - Estratti
SELVAGGIA E SELVAGGINA - MEME BY VUKIC
Si è detto “Black Mirror”, ma come film viene in mente piuttosto il bel “The Menu”, presa in giro finale e patinata del gran caravanserraglio dei cuochi stellati, in cui un perfido e psycho Ralph Fiennes fa fuori uno a uno i clienti nel suo resort irraggiungibile. Invece la realtà qui è sì sceneggiatrice ma anche neorealista, e vede suicida una povera pizzaiola di Lodi.
Finale di che? Sicuramente almeno di due tendenze decennali e seriali che si sono incrociate fatalmente in quella che pare per coincidenze e tempismi e location tra Milano e la Lombardia la “piccola tangentopoli social” (rivendichiamo il copyright, vabbè). C’è tutto, la gogna, le accuse, le procure (quattro per i pandori ferragneschi) e adesso anche il suicidio come i tanti che affollarono la stagione di Mani pulite. Il primo fu proprio a Lodi, il 17 febbraio 1992.
Finita dunque la prima repubblica social? Nella nuova Mani pulite c’è un pool, quello “di Civitavecchia”, composto dalla coppia Lucarelli & Biagiarelli, che davvero se risorgessero Scarpelli & Age non si capaciterebbero della piega della storia. I nuovi “Nuovi mostri”: scopritori in coppia (in utroque, direbbe il Gadda) di reati internettari, cacciatori di associazione esterna in frode social, poi ballerini a tempo libero (o giudici, sempre di ballo) nelle trasmissioni di prima serata.
selvaggia e il fidanzato lorenzo biagiarelli
Senza separazione delle carriere. “Che ci possiamo fare se siamo alla ricerca della verità”, ha detto il sostituto Biagiarelli, compagno di Lucarelli, tipo Davigo, che qualche tempo fa proferì la famosa frase: “Quando muore un imputato dispiace perché si perde una fonte”. Ma il pool di Civitavecchia alla ricerca della verità ha già fatto le sue vittime: Ferragnez, e poi il giovane parmense amputato dagli squali, e altri casi di concorso esterno in Instagram mendace, attività per la quale il pool indaga accaventiquattro, compilando dossier uno dopo l’altro su chi sbaglia e chi no e esaminando screenshot e spulciando tra tweet e post e stories e poi scagliando le masse indignate e assetate di sangue contro il malcapitato (più pericolose dello squalo, ha detto lo squamato).
Lo o la shit storm è l’equivalente odierno della carcerazione preventiva, sei messo dentro, anzi ai domiciliari (nei casi più gravi non puoi più uscire di casa, o comunque devi spegnere il telefono, che oggi è quasi peggio), per un post, un tweet, un articolo (di cui nessuno legge il testo, ma generalmente screenshot che girano di mano in mano, va bene indignarsi, ma da lì a comprarsi una copia online di un quotidiano saremo mica matti).
(...) Il compagno di Lucarelli proprio chef è, oltre che vendicatore del web, e la coppia forse oggi pentita davanti al dramma davvero a inventarla non si sarebbe osato tanto. “Debunkers” di recensioni, oltre che di false beneficenze, come quella alla povera pizzaiola, che magari avrà sì truccato la sua risposta o forse l’intera autorecensione, magari per vendere più pizze (senza aspettarsi il pool lì pronto, anche di notte e nei festivi).
Un tempo prima dell’èra della recensione se il cibo non era buono non si tornava più, semplicemente, nel tal ristorante. Adesso invece quando troviamo il riso scotto o il capello nel piatto non lo mandiamo indietro in real life ma anzi felici ed eccitati ce lo mangiamo pregustando il momento in cui andremo a casa a insolentire digitalmente il gestore.
La cultura della recensione selvaggia sembra particolarmente virulenta soprattutto in paesi come il nostro, dove il consumatore-cliente ha sempre torto a prescindere, a meno che non ci si organizzi in sindacati e corporazioni in grado di intercettare voti. Dunque nata “dal basso” con sano spirito di giustizia, diventa immediatamente mostruosa. E se non porta al suicidio, caso fortunatamente rarissimo, fa male lo stesso.
Del resto già poche settimane fa era stato inondato di recensioni vendicative il ristorante “La cicogna” a Torreglia in Veneto, che era appartenuto ai genitori del femminicida di Giulia Cecchettin, Filippo Turetta. Lì gli indignati recensori ignoravano che il ristorante non era più della famiglia da anni. La Tangentopoli alla pizzaiola del resto non prevede certo la prescrizione.
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