Enrico Deaglio per “il Venerdi - la Repubblica”
Otto veri bastardi in un piccolo inferno sommerso dalla neve. Sangue, odio razzista, violenza quasi insopportabile. È il ritratto di un’America appena uscita dalla guerra civile, ma ricorda tanto quella di oggi. «
Al western dei maestri italiani come Leone e Corbucci» dice Quentin Tarantino «ho tolto anche gli ultimi residui di umanità». Farà scandalo? Di certo i poliziotti accusati dal regista di brutalità sui neri non hanno digerito le sue prese di posizione. E per l’uscita del film promettono «una sorpresina»
LOS ANGELES. E' un vero privilegio essere nella lista dei prescelti per l'anteprima dell'ultimo film di Quentin Tarantino. C'è la forte sensazione che il film farà epoca, sicuramente scandalo.
samuel l jackson per tarantino
Siamo un centinaio; veniamo da mezzo mondo, siamo stati divisi in due serate, allo storico teatro The Crest, ancora attrezzato per proiettare in Panavision. Tarantino ha convinto la quasi fallita Kodak a rimettere in produzione la vecchissima grana di celluloide 70 millimetri e ha montato sulla cinepresa le stesse lenti con cui fu girata la corsa delle bighe di Ben Hur. Tarantino aborre la freddezza del digitale e ama gli anni Cinquanta, quando il cinema era magico, artigianale, misterioso, eroico.
Hateful Eight - Jennifer Jason Leigh
È un dicembre del Sud della California particolarmente mite. La gente gira in short e flip flop. Tutti abbiamo firmato un contratto che non solo ci vieta di scrivere del film prima del 21 dicembre, ma anche solo di nominarlo su Twitter o Facebook: è un affare di Stato. Due giorni fa, a cento chilometri da Hollywood, in un enorme centro statale per l’assistenza ai disabili, nella città di San Bernardino, un dipendente è entrato nella sala dove si svolgeva la festa di Natale e ha ammazzato 14 colleghi.
Sua moglie lo aspettava fuori con il Suv, la polizia li ha freddati entrambi. Decine di giornalisti sono entrati nella loro casa e l’hanno filmata con gli iPhone: la lavastoviglie, il Corano, il flacone di Pepto-Bismol per la gastrite ora corrono su tutti gli schermi tv extrapiatti dei bar e dei ristoranti, trasformati in un’enorme Pulp Fiction.
Hateful Eight - Jennifer Jason Leigh
Entriamo in sala accompagnati dagli strilloni con il titolo cubitale dell’edizione speciale del Los Angeles Times: LA DONNA AVEVA GIURATO FEDELTÀ A AL-BAGHDADI SU FACEBOOK, e questo – la circolarità tra il cinema e la vita, quello stato di trance che fa dire agli scampati di una tragedia: «Sparavano da tutte le parti, sembrava di essere al cinema» – è il viatico che riceviamo prima di sederci a guardare il western più nichilista che il cinema abbia mai osato fare.
Il film si chiama The Hateful Eight (hateful si può tradurre sia come odiosi, sia pieni di odio, ma in Italia il film conserverà il titolo originale). È un western interamente girato sulla neve e nel freddo. Ambientato tra le montagne del Wyoming, qualche anno dopo la Guerra Civile.
Io, ingenuamente, pensavo: neve più Tarantino: ci sarà un sacco di sangue sulla neve. Ovviamente sbagliavo: la neve è l’unica che resta pura, insieme al vento che soffia per tutto il film. Tutto lo spargimento di sangue (secchiate, fontane, doccia rossa) avviene all’interno di una locanda di legno scricchiolante dove si vengono a trovare (per caso?) otto sconosciuti.
The Hateful Eight dura tre ore e due minuti, preceduto da un avviso che sembra un comandamento: questo è «l’ottavo film di Quentin Tarantino». La musica originale – potente, non corriva – è di Ennio Morricone, 87 anni, chiamato a dirigere il suono, a quasi mezzo secolo di distanza da Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone, cui Tarantino ufficialmente porge omaggio.
tarantino regista in the hateful eight
Gli attori, a partire dalla superstar Samuel L. Jackson (il killer biblico-filosofico di Pulp Fiction), sono gli «alunni» che da vent’anni lavorano con il Maestro, ma la donna (la Musa del regista) non è più Uma Thurman. Nella parte di un’assassina condannata a morte, c’è invece l’eccezionale Jennifer Jason Leigh, che recita per tre ore con una vasta ecchimosi sull’occhio destro, poi si riempie progressivamente di sangue (tutti, infatti, quando non sanno cosa fare, la menano) fino a diventare una maschera immonda ghignante: quando sarà sul punto di vincere la sua battaglia – ha appena tagliato con un’accetta il braccio del maschio (ormai cadavere) che la tiene prigioniera – si rivelerà essere anche un’orribile strega senza denti. (Uhm, uhm… sarà mica un po’ misogino, Quentin?).
Diviso in capitoli e interrotto da quindici minuti di «intermezzo», The Hateful Eight è uno spettacolo colossale e un film d’altri tempi. Il freddo ti penetra nelle ossa, le montagne ti guardano e ti giudicano, gli otto esseri umani ristretti in un palcoscenico di assi di legno che scricchiolano sotto i passi – qui il cinema tarantiniano sfida A porte chiuse di Sartre – discutono del senso della vita, della giustizia, della fortuna e del destino, prima di rivelarsi animali di passaggio rispetto all’eternità della natura e precipitare nella spirale di pistolettate e fucilate.
Tutti siamo stati in silenzio durante la proiezione. Ogni tanto si sentiva qualche wow!, per esempio quando uno degli otto, appena avvelenato, ti vomitava sangue addosso. Al gran finale – il Maggiore nero e il Soldato confederato finiscono male, dopo aver sbeffeggiato Abraham Lincoln che prometteva un futuro felice – tutti siamo rimasti attoniti, zitti, scioccati. Nessuno ha twittato, perché era vietato. Ma, in effetti, circolava un bel po’ di elettricità nel teatro.
Russel e Jackson insieme per tarantino hateful eight
Il giorno dopo, all’hotel Four Seasons dove la produzione aveva fissato il suo junket, mi sono messo in fila per i 24 minuti di intervista one to one con quello che è considerato il nuovo Orson Welles. Quentin Tarantino è nato – lontane origini italiane – in una cittadina del Tennessee sei mesi prima che ammazzassero John Kennedy, ha alzato due volte la statuetta degli Oscar ed oggi è considerato quello che più di tutti ha rivoluzionato il cinema. Visto da vicino è un vieux garçon di 52 anni, con i capelli troppo neri.
Alto, con la faccia ossuta e i gesti da classe operaia, assomiglia all’idraulico che ti affascina per la sua conoscenza del mondo mentre toglie il calcare dalla lavatrice e tranquillamente fischietta un’aria di Rossini. Un genio, per molti; un depravato, un pornografo per altrettanti. Parla molto velocemente, ha un riso nervoso, mangiucchia in continuazione dei dolcetti. Fragile, all’apparenza; vive solo di cinema.
Gli ho detto, avviando il registratore: Signor Tarantino, ho visto il film. Mi è piaciuto, è molto coraggioso. Ma penso che lei si sia messo veramente nei guai.
«E perché?».
Beh, il protagonista è un nero che è stato maggiore nell'esercito di Lincoln, ma che ora fa il bounty-killer, che prima di ammazzare il figlio di un generale confederato lo ha fatto spogliare nudo nella neve e si è fatto fare un pompino. Vero?
«Sì, è lui».
Ed è la stessa persona che tutti chiamano nigger, che tiene in tasca una lettera del presidente Lincoln su cui a turno tutti sputano addosso. Lui compreso. Vero?
Tarantino si fa una lunga risata, a dire il vero un po ‘ nervosa. «È vero, è vero…».
Poi c'è un messicano stereotipo che suona al piano con un dito Stille Nacht, segnale convenuto per avvelenare la combriccola con un caffè. E infatti tutti si mettono a vomitare sangue, e il suo film esce il giorno di Natale. Pensa che il pubblico latino gradirà?
Tarantino mi ferma, perché ha capito che l’elenco potrebbe essere lungo. «Guardi, ha ragione. Anch’io non so come andrà il film. Tengo le dita incrociate, e non solo perché abbiamo la concorrenza di Star Wars. Io spero che la gente che andrà a vederlo il 25 dicembre, e poi lo vedrà in tv, si diverta. Se qualcuno si offenderà – per il linguaggio, per i temi trattati –, se qualcuno vorrà trarne motivo per litigare, devo ammettere che troverà l’occasione per farlo. È un film politico, è vero. Il più politico di tutti i miei otto film».
E che reazioni si aspetta?
«Davvero, a questo punto non lo so più. Penso di aver scritto qualcosa di molto provocatorio, un film che attacca valori consolidati, ma non vorrei morirci sopra. Non prendetelo come una metafora, cercate di prenderlo per quello che è: una storia, un mistery, un genere, un suspense, un western. Vorrei solo che la gente si divertisse. Che rida, che si stupisca di stare ridendo, che rabbrividisca per l’orrore, insomma… che abbia delle reazioni. Che lo guardasse con gli amici e poi andassero tutti a mangiarsi un pizza per discuterne. Ecco, io vorrei questo».
Chissà se è sincero. Tarantino fa dei film di fantasia, ma la gente li prende sul serio. Per esempio, vent’anni fa, quando uscì Pulp Fiction la scrittrice e premio Nobel Nadine Gordimer si indignò. Prese carta e penna per dire che la scena in cui Uma Thurman resuscita dal coma con un’iniezione intracardiaca di adrenalina era da vietare. Perché non è vera, disse.
Se uno va in coma per un’overdose di eroina, muore: dire il contrario non è un’operazione onesta. Fu una voce isolata. In realtà, si scoprì che si poteva venir fuori dall’overdose con un’endovena. E che esistono persone come Mr. Wolf che «risolvono i problemi» e fortunato chi ha il loro numero di telefono. E così, i criminali di Pulp Fiction diventarono eroi popolari, come era successo per i mafiosi di Coppola. Questa volta, però, è diverso: questa volta sono davvero tutti odiosi.
La violenza, al cinema, bisogna maneggiarla attentamente. Tarantino non lo fa, esagera. Ci scherza sopra, è cinico. Però, due mesi fa, quando il film era già finito, il Maestro dello splatter stupì tutti, perché salì su un palchetto a New York per dire due parole sulla «brutalità della polizia».
Disse di essere stato turbato dalle decine di scene, quelle spesso postate con gli iPhone, dove si vedono poliziotti bianchi che uccidono ragazzi neri. Disse: «Io sono un essere umano, ho una coscienza… Quando vedo che si commettono omicidi non posso stare zitto. Se sono omicidi, devo chiamarli omicidi». I potenti sindacati della polizia non l’hanno presa per niente bene. Proprio lui? Chi, quel depravato che trasforma i criminali in eroi? E hanno lanciato l’idea di fargli «una sorpresina». Tarantino non ha cercato di fare pace.
Teme che ci sarà la “sorpresina”?
«Spero proprio di no. Certo, picchetteranno i cinema a Los Angeles e a New York, questo me lo aspetto. Non vedo proprio cosa possano fare d’altro».
Beh, signor Tarantino. Per un candidato alla presidenza come Donald Trump che propone la pena di morte immediata per chiunque uccida un poliziotto, il suo film è un’occasione ghiotta. Se i filmati amatoriali con gli spari della polizia lo fanno scendere in piazza, che effetto gli fanno le decapitazioni dell’Is? Gli ho chiesto se si ricorda le sensazioni della prima volta. Non è il tipo di domanda che gli fa piacere. Però…
«Aspetti, aspetti, non mi voglio tirare indietro. Ero sul divano, ho visto l’assassinio del primo americano, in televisione, sulla Nsbc. O meglio: ho visto i preparativi, non l’uccisione in sé. Ho avuto un vuoto nel cervello. Mi sono detto: queste sono persone che vengono dal passato, dal Medioevo; questa è un’intrusione della preistoria, della barbarie, dentro i nostri tempi.
Cose antiche, come la punizione, la Sharia. Ho sentito una minaccia reale. Ma lei vuol sapere se esiste una relazione tra i miei film e quelli dell’Is? No, non c’è. Se per caso ci fosse, smetterei immediatamente con il mio stile, farei cose più sobrie. Ma non è questo: loro usano i colori, gli effetti, le luci solo per terrorizzarci, per entrarci sotto la pelle; ma è una minaccia che viene da un mondo che non c’è più».
Sarà così, ma è giusto mostrare la violenza al cinema? È giusto giocare con il razzismo? Dove arriveremo se al cinema si usa un linguaggio inaccettabile, se lo «sporco negro» viene ripetuto venti volte, se il messicano è proprio come te lo descrivono i razzisti, «ladro e stupratore»? Se l’unica donna nel film è malvagia e merita la morte?
Tarantino ha passato due anni a limare la sceneggiatura degli Hateful Eight. Mi ha detto che progressivamente ha tolto, a una a una, quelle bolle di umanità che pure gli Otto Odiosi avevano. «Gli ho tolto anche quel poco di lealtà, di amicizia, che sono alla base dei film western».
Sembra soddisfatto. Ha condotto a termine la demistificazione di un genere, della sua simbologia. E qui entriamo in gioco noi italiani, perché Tarantino è davvero un esegeta dello spaghetti western, è stata la sua università, è diventata la sua cosmologia: lui davvero considera Sergio Leone, Sergio Corbucci, Duccio Tessari, Mario Bava come dei profeti.
the hateful eight di quentin tarantino
«Nella loro grande stagione – quella che va dal 1967 al ‘69 – anno preso un genere e gli sono andati contro: in anni in cui la propaganda americana creava gli stucchevoli film di Victor McLaglen o di Burt Kennedy, con John Wayne e Robert Mitchum, i Bonanza o i Virginians, tutti così prevedibili, così conservatori. Quegli italiani hanno fatto la rivoluzione: hanno ridefinito il ruolo del Cattivo, lo hanno rivestito con costumi nuovi, hanno portato il surrealismo alle masse. Ed erano tutti persone che avevano fatto la gavetta nel cinema e nella vita; avevano vissuto il fascismo e i loro cattivi erano le camicie nere. Prendevano Caligola e lo mettevano in Arizona.
Riscrivevano il mistero, uccidevano i ruoli, l’obbedienza. Io devo tutto a questi maestri. Senta: c’è un film di Corbucci, Navajo Joe con Burt Reynolds e Nicoletta Machiavelli (sì, ho saputo che è morta da poco. Era eccezionale). Burt, una grande star, andò da Corbucci e gli disse: “Senti, Sergio. Ho visto che con Nicoletta c’è una certa chimica che funziona, perché non giriamo anche una scena d’amore?“, e Corbucci lo mandò al diavolo: “Ma tu hai capito o no che la voglio far finita con tutte queste stronzate?”».
tarantino hateful eight western
(Devo aggiungere, che cercando altre notizie online su Navajo Joe, ho trovato anche questa dichiarazione di Burt Reynolds: «Il peggior film in cui abbia recitato. Può funzionare solo in un carcere, perché è l’unico luogo da cui gli spettatori non possono andare via»).
Tarantino mi spiega come The Hateful Eight nasca da quello spirito di rivolta. La grande invenzione italiana del «triello» (al posto del duello) finale; prendere un uomo misterioso e moltiplicarlo per otto («mi sono entusiasmato all’idea di otto persone tutte misteriose, tutte bugiarde, tutte con un passato innominabile. Metterle insieme in un posto da cui non possono uscire altrimenti muoiono per il freddo, e vedere cosa succede. E metterci una grande dose di rancore»).
la colonna sonora di the hateful eight
Signor Tarantino, guardi che lei ha distrutto tutti i valori della società americana, l'amicizia, la lealtà, l'essenza stessa del western. Nessuno ha più cuore. Ne è venuta fuori un'America terribile. E' questo che voleva?
Toc toc, dice la segretaria, il suo tempo è finito. Quentin saluta: «Grazie per le domande» e chiude una porta dietro di sé. Ripensandoci, quanto di brutto succede nel mondo è acqua fresca rispetto agli Otto Odiosi di Quentin. Davvero, ho la sensazione che stavolta non la passerà liscia.
il cast di the hateful eight di quentin tarantino