Simona Orlando per "Dagospia"
Da Totò a Sanremo all’attuale Toto-Sanremo, quante cose sono cambiate? Per farsi un’idea basta ripescare l’articolo di ‘Oggi’ del 24 dicembre 1959, dove il Principe De Curtis spiegava il motivo delle dimissioni dalla commissione che giudicava le canzoni, dopo peraltro aver rifiutato il gettone di presenza, 50mila lire a seduta, una bella somma per l’epoca.
Racconta: «I lavori della commissione si svolsero nella più perfetta regolarità. Le 400 e più canzoni concorrenti furono ascoltate da cima a fondo, talvolta ripetute, e per ciascuna di esse ebbe luogo una votazione. Nel corso di una serie di sedute massacranti, scartammo oltre 300 canzoni e ne riservammo 99 per la seconda selezione». E già qui si capisce quanto i criteri di scelta fossero diversi allora. Si ascoltavano tutti i brani candidati e si selezionavano i migliori, mentre oggi la canzone è cosa marginale e contano più i nomi, l’appeal che esercitano sul pubblico (oltre al trattore discografico che forza l’accesso).
Prima si invita l’artista, dosando le quote (il partenopeo, l’impegnato, la cariatide, il rapper, il social. Il talent invece non ha quote, più ne infili meglio è) e poi si valuta la canzone: ce n’è sempre una pronta nel branificio degli autori. Se quello che ascoltiamo fosse frutto di una attenta scrematura, dovremmo preoccuparci, invece è solo la somma dei programmi tv, una specie di ONU per i riciclati, dove l’ordinario viene spacciato per straordinario, e stavolta la cosa si estende anche ai superospiti: Clean Bandit, che avevano già chiuso X Factor, Alvaro Soler, giudice nel medesimo, Mika, Robbie Williams che in quanto a presenze quasi se la batte con Al Bano.
Prosegue Totò: “L'opinione pubblica si mostrò favorevole alla mia presenza a capo della commissione....un vero plebiscito...L'esame procedeva con grande impegno e serietà da parte dell'intera commissione che comprendeva, oltre a un avvocato, un ingegnere, maestri di musica, uomini di teatro e giornalisti’.
Vabbè quelli erano i selezionatori, ma chi giudica anche a gara aperta dovrebbe avere la stessa competenza, invece nella attuale Giuria di Esperti (che vale il 30%) si ritrova tale Greta Menchi, figlia del web, protetta di Fedez e J-Ax, che si occupa di musica quanto noi di fisica quantistica. Detto questo, gli insulti che l’hanno travolta in rete sono inaccettabili. Un assaggio, che il Principe ci perdoni: «C’è chi si fa il culo per sfondare e chi il culo se lo fa sfondare», «A chi l’hai succhiato?», «Hai pure ingoiato?». E non sono i peggiori.
Greta ieri ha reagito: «A quelli che si scandalizzano per la mia presenza a Sanremo, chiedo di ritrovare il senso delle proporzioni e indirizzare la propria indignazione verso certe derive misogine e sessiste. Conta più la composizione di una giuria o che una ragazza di 21 anni venga trasformata nel bersaglio di un bullismo mediatico rabbioso e sproporzionato?». Non sembra che la Menchi abbia ricevuto lo stesso trattamento della pre-Diletta Ga-Leotta, difesa a spada tratta dalla Bloody Mary e da molti altri.
A parte la questione do utero des, il problema non è che come altri morti di fama lei abbia accettato l’invito, ma che qualcuno glielo abbia rivolto. Chi? Gli stessi ben pagati autori che, come fa notare "Rockol", hanno sbagliato le posizioni in classifica delle canzoni ascoltate in pillole nella prima serata, ben 15 errate su 60? Gli stessi che hanno ideato il capolavoro di inutilità che è stata l’intervista al Neo-bassista Keanu Reeves?
Nell’ultima votazione scoppiò il conflitto fra Totò e gli altri membri: «Mi rifiuto di ammettere che il presidente di una commissione come quella del Festival possa essere considerato una figura decorativa o, peggio ancora, un fantoccio. E, soprattutto, non ammetto che la parte del fantoccio tocchi a me...lo ero del parere che ‘Parole’ (di Maresca e Falpo) dovesse figurare fra le prescelte e insistetti perché la commissione accettasse il mio giudizio (giudizio che, non bisogna dimenticarlo, era quello di un uomo che da 38 anni vive a diretto contatto col pubblico).
La commissione non volle tener conto del mio parere... La musica della canzone è tale da far presa sul pubblico; le parole (e questo è un elemento importante in un periodo in cui la gente è stanca di sentir rimare cuore con amore ) si staccano da quelle tradizionali, ormai trite... Non avevo alternative: perciò abbandonai la sala».
Totò era stufo di sentire certe rime mezzo secolo fa, se ne andò in difesa dell’originalità, e se la attuale giuria dovesse ispirarsi a lui, la sala dovrebbe svuotarsi. La ricerca non è più del senso ma del consenso, e questo spiega perché non esista novità e perché ogni volta che si cita la grande musica italiana si debba tornare indietro di svariati anni, e i giovani tanto inseguiti debbano rincorrere le cover dei vecchi, che però oggi, con questo sistema, non sarebbero mai emersi. E’ un canone che si morde la coda, e c’è solo da dire ‘Ma mi faccia il piacere’.
toto scrisse il brano con te greta menchi greta menchi