Renato Franco per il “Corriere della Sera”
«È cancro vero? Stai morendo?». «Però a me sembri in forma». «Se avesse il cancro avrebbe lo sguardo di tutti quelli che hanno il cancro». C’è un padre di 70 anni a tavola con tre figli che non sanno vedere oltre se stessi. Li ha convocati perché vuole rivelargli un segreto. No, non è il cancro. Vuole svelare loro la sua natura di transgender, perché si sente più a suo agio quando indossa abiti, trucco e acconciature femminili. In realtà in quella cena gli mancherà il coraggio, ma la rivelazione avverrà poco dopo in maniera anche più spettacolare.
All’osso è questo l’asse portante di Transparent — che nel titolo gioca con le parole trans e parent (genitore) —, la serie tv premiata agli ultimi Golden Globe come miglior serie comedy e che ha dato al suo protagonista (l’americano Jeffrey Tambor) il globo come miglior attore. Da martedì 9 su Sky Atlantic l’opportunità di capire se i riconoscimenti sono meritati o meno.
La storia è incentrata sulle vicende della famiglia Pfefferman. C’è la sorella più grande, sposata con due figli, tendenzialmente nevrotica, con una vecchia passione per le donne che ora riaffiora. Il fratello di mezzo, produttore musicale di successo che intesse relazioni tra il superficiale e il complicato con ragazze più giovani. La sorella più piccola — senza lavoro e ora anche senza soldi dopo aver speso quanto vinto a Ok, il prezzo è giusto — che spera di rimorchiare un ragazzo piuttosto che un impiego. La madre, intelligente e logorroica, che venti anni prima ha divorziato da loro padre.
E poi c’è lui, Mort Pfefferman, che preferisce farsi chiamare Maura e si ferma un passo prima di Bruce Jenner, l’ex decatleta americano diventato donna che occhieggia in questi giorni dalla copertina di Vanity Fair .
Partendo da Tolstoj («tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo suo») la serie è uno spaccato famigliare e di relazione, perché tutti i protagonisti, in un modo o nell’altro, si incagliano nei loro rapporti con gli altri e in scelte sessuali che non corrispondono strettamente ai canoni etici della società tradizionale.
Jeffrey Tambor, dopo una carriera nelle retrovie, si è trovato improvvisamente popolare e protagonista a 70 anni («alla mia età questo è il regalo di una vita»). Le prove della parte le ha fatte in una discoteca transgender a Los Angeles. Ma prima c’era la metamorfosi con la parrucca e il trucco in albergo.
«E mi ricordo che mi tremavano le gambe. Non credo di aver mai avuto tanta paura in vita mia come quando ho fatto quei passi attraverso l’hotel vestito da donna. È stata una rivelazione e ricordo di essermi detto: “questo è come Maura si sente ogni giorno della sua vita; lascia che questa sensazione sia alla base di ogni singola ripresa della serie. La psicologia del personaggio è fondamentale. Il resto — capelli, trucco, abito — è facile».
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Un ruolo scritto in modo dettagliato e plausibile, anche perché la serie nasce dall’ esperienza personale di Jill Soloway — che ha creato e diretto Transparent — che ha un padre trans. Con i toni della commedia, accarezzando ogni tanto le tinte del dramma, la serie fa porre ai protagonisti domande sempre più attuali in una società liquida nei cambiamenti: «Mi amerai ancora anche se sono cambiato? Sarai ancora lì per me? — riflette ancora Jeffrey Tambor —. Penso che queste sono le domande che tutti noi ci dobbiamo fare. Intorno a quel tavolo da pranzo, ognuno ha un segreto. Tutti noi possiamo riconoscerci in questa famiglia. Questo show non è la risposta, ma spero che siamo parte della risposta in un dialogo che si muove in avanti».
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