LA VENEZIA DEI GIUSTI – CI ASPETTAVAMO QUALCOSA IN PIÙ DA “WHITE NOISE – RUMORE BIANCO”, LUNGA, FATICOSA, PARLATISSIMA, SONTUOSA, MA ANCHE ELEFANTIACA E CARISSIMA VERSIONE CINEMATOGRAFICA DEL ROMANZO DI DON DE LILLO, CHE APRE STASERA IL FESTIVAL – SCRITTO E DIRETTO DA NOAH BAUMBACH, RISULTA ALLA FINE UNA DI QUELLE GRANDI MACCHINE NECESSARIE PER DELIMITARE UN TERRITORIO (NETFLIX), PAGARE LE SPESE DELLA CENA INAUGURALE E AVERE UN BEL LANCIO INTERNAZIONALE. MA NON VUOL DIRE CHE SIA UN FILM DEL TUTTO RIUSCITO - VIDEO

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Marco Giusti per Dagospia

 

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Venezia 79. Primo film in concorso. Ci aspettavamo qualcosa in più da questa lunga, faticosa, parlatissima, sontuosa, ma anche elefantiaca e carissima, 100 milioni di budget che sono cresciuti a 140, versione cinematografica di un romanzo di Don De Lillo che forse non era così adatto a essere messa in scena.

 

Insomma, “White Noise – Rumore bianco”, che apre stasera il Festival sotto la potente bandiera di Netflix, vanta quattro film in concorso e una serie, quasi mezza Mostra, scritto e diretto da Noah Baumbach dopo il sorprendente “Marriage Story” del 2019, che ancora scava sulla coppia americana e l’idea di famiglia grazie alla presenza di Adam Driver, un filo troppo truccato come Jack Gladney, professore del Midwest con panzetta e pessimo taglio di capelli, massimo esperto americano di Adolf Hitler (senza conoscere il tedesco) e di Greta Gerwig come Babette, boccolona e squinternata quarta moglie del professore fatta di pillole, risulta alla fine una di quelle grandi macchine necessarie per aprire un festival e delimitare un territorio (Netflix, che distribuirà il film il 30 dicembre sulla piattaforma e prima in sala), pagare le spese della cena inaugurale (almeno un tempo era così) e avere un bel lancio internazionale da sbandierare in patria.

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Ma questo non vuol dire che sia un film del tutto riuscito. Anche se, sì, la presenza finale di apparizioni come Barbara Sukowa come suora che non crede al Paradiso e dello strepitoso Lars Eidinger di "Berlin Babylon” ci allietano non poco e i titoli di coda rimandano a un folle musical sull’idea delilliana dei supermercati come rigeneratori di vita che può piacerci.

 

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Solo che ormai la storia è finita. Il film è diviso in tre parti, come il romanzo. La prima, la più divertente, dedicata al continuo ossessivo chiacchiericcio della famiglia allargata e dei professori dell’Università su qualsiasi argomento. La seconda costruita come un horror anni ’80 su un disastro ambientale, un camion pieno di rifiuti tossici si scontra con un treno e si sprigiona una nube tossica che obbliga alla fuga tutte le famiglie della zona, compresa quella del professore.

 

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La terza dedicata invece alla cura tossica di Babette, peggio della malattia, perché usa farmaci sperimentali di un lestofante tedesco. Ambientato nell’assurda America profonda di Ronald Reagan degli anni ’80 come “Bones and All” di Luca Guadagnino e “Nope” di Jordan Peele, ne scava, assolutamente senza nessuna nostalgia, tutto l’orrore che deriva dalla paura della morte dei personaggi adulti e ne indica il superamento solo grazie al riconoscersi come esseri umani.

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Senza psicofarmaci, guru, armi o letture assurde di libri sull’occulto. Come in “Nope” c’è una grande nube minacciosa che segna il cielo, come in “Bones and All” neanche la fuga è la soluzione. Ammesso che ci sia una soluzione. Le parti di discussioni dei professori, su Hitler e su Elvis, che permette un bel duetto a Adam Driver e a Don Cheadle, sono le più riuscite, e anche i battibecchi continui tra i ragazzi, sia a casa che in macchina con la grossa nube tossica sopra la loro testa.

 

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Ma non sempre le tre parti del film riescono a unirsi con armonia, e i personaggi, con la lora paura della morte e i loro incubi sembrano andare ognuno per conto loro. Non certo aiutati da una serie di grandiosi e ricchi effetti speciali che in un film di questo tipo sembrano quasi stonare. Ma Barbara Sukowa che dice la sua sul Paradiso ci ripaga di una lunga attesa.

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