Marco Giusti per Dagospia
taylor russell e timothee chalamet bones and all
Arrivati alla fine della prima settimana, facciamo un po’ il punto su Venezia, su. Intanto. Il successo di “Bones and All” di Luca Guadagnino in Sala Grande venerdì sera, otto minuti e mezzo di applausi veri alla faccia del mondo del cinema romano che non lo ha mai sopportato, specialmente se uno ricorda la freddezza con cui venne accolto proprio qui “A Bigger Splash” (e ancora peggio “Io sono l’amore”), ci ripagano di molte delusioni viste anche in questi giorni e di tanti film inutili e tromboni che vengono accolti come capolavori.
luca guadagnino timothee chalamet
Per Barbera&Cicutto è uno dei, se non il, film di punta di tutta la selezione, magari assieme a “The Whale” di Darren Aronofsky con Brendan Fraser, che si vedrà in Sala Grande stasera. Ma “Bones and All” è il film che ha portato al Lido i ragazzini impazziti per Timothée Chalamet, che lancia una nuova star, la strepitosa Taylor Russell, che rilancia anche quel disastro che è il cinema italiano, visto che è prodotto da Mieli, come “È stata la mano di Dio” un anno fa, e Guadagnino e che tutta la troupe o quasi è italiana e inoltre giovanissima.
Inoltre non è targato Netflix e quindi non lo vedremo tra dieci-venti giorni in streaming come “Athena”, film che è molto piaciuto al pubblico più giovane, ma in sala, puntando decisamente agli Oscar con la distribuzione e il marchio della MGM (che piacere rivedere il Leone ruggire in Sala Grande…).
Per di più “Bones” toglie parecchia polvere, con la sua storia di young cannibal, a una selezione francamente un po’ polverosa, perché tutto invecchia così presto e se vuoi rinnovare devi puntare su qualche sperimentazione e correre qualche rischio.
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La stampa americana e inglese, a parte Owen Gleiberman sul pur potente “Variety”, che però è stato il primo giornale a scrivere del clamoroso successo in sala, è entusiasta. “It’s so carefully made and so lovely to look…”, “Its actors give you something to watch every minute”, “…speak to the human desire to love and be loved, in spite of our flaws”, “a moody achingly romantic triumph…", “you’ll likely leave the theater still feeling hungry”, “scary, nasty and starting in its warped romantic idealism”,”an ode to giving yourself to the ones you love: your bones and all”, “a blood-drenched Bonnie and Clyde”. Su Rotten Tomatoes ha un gradimento critico del 95%, “The Guardian” gli dà cinque stelle.
Un po’ di critici italiani hanno alzato il sopracciglio e hanno ancora qualcosa da rimproverare a Guadagnino non avendo mai capito i suoi film. Ce ne faremo una ragione.
Intanto Guadagnino è volato in America per il suo nuovo film, “Challengers”, con Zendaya, per la Metro. Magari tornerà per i premi. Più che possibile.
Anche “Tar” di Todd Field è un film che è molto piaciuto ai critici americani, 100% di gradimento e lancia per la Coppa Volpi la sua prestigiosa protagonista, Cate Blanchett. Io lo trovo un po’ troppo politicamente corretto, ha un finale moraleggiante e non sopporto la lezioncina su Bach, che un direttore d’orchestra non binario non può più eseguire (vedere e sentire per credere). E Cate Blanchett è bravissima, vero, ma molto di maniera.
riprese di bardo di alejandro gonzales inarritu 3
Cosa ne avrebbero fatto di una storia simile un Robert Aldrich o un Joseph Mankiewicz con una Bette Davis o una Joan Crawford?
“Bardo” di Inarritu è stato massacrato anche troppo. E’ machista, lunghissimo, troppo felliniano, se non sorrentiniano, elefantiaco e con delle sequenze davvero imbarazzanti, ma ha anche delle cose belle. “White Noise” di Noah Baumbach ha perso la freschezza delle commedie newyorkesi del regista e non funziona come rilettura della scrittura di Don De Lillo.
Il vecchio Frederick Wiseman, 91 anni, esordisce con un film di fiction, “A Couple”, che è in pratica un monologo di 70’. Dura prova per tutti. Allora perché non mettere in concorso “Master Gardener” di Paul Schrader, film vecchio ma meravigliosamente scritto e diretto. “Athena” di Romain Gavras, supergirato, supermontato, con attori franco algerini tutti bellissimi, non ha storia e il finale sembra appiccicato da Netflix per salvare il buon nome della polizia.
don cheadle adam driver white noise
Il documentario “All the Beauty and the Bloodshed” di Laura Poitras, premiatissima per “The Panama Papers”, sulla fotografa e artista Nan Goldin, le sue memorie più profonde e la sua dura guerra contro il potere della famiglia dei Sackler, benefattrice nel mondo dell’arte, legatissima ai più grandi musei americani, ma mostro orrendo come produttrice di un farmaco oppioide, l’OxyContin, che dà dipendenza e ha spinto a depressione e morte molta gente, interessante e che apre a ricordi molto personali dell’artista, forse non era da concorso.
Nella memoria più stracultista alla fine trionfa il “Padre Pio” di Abel Ferrara con Shia Labeouf che vede la Madonna, Satana e Asia Argento peccatrice incallita. Ma anche “The Kingdom – Exodus" di Lars Von Trier, ridotto a per il Parkinson, coi giorni che passano torna su con le sue follie, il Satanasso di Willem Dafoe, i suoi medici pazzi, i pazienti che indagano nelle cantine dell’ospedale, il faccione gigantesco di Udo Kier che ci riporta al cinema che più amiamo, Difficile trovare qualcosa di più eccessivo.
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