Marco Giusti per Dagospia
Venezia. Puntuali, nella loro banalita' festivaliera, arrivano gli scroscianti applausi per gli 87 minuti di Francofonia di Alexandre Sokurov. Che non e' la versione Louvre di "Arca russa", ma un documentario sul Louvre con delle complicazioni Sokuroviane. Come una comunicazione Skype con un battello che trasporta opere d'arte durante una tempesta, metafora della situazione di tragedia che colpi' il museo durante la guerra che e' poi il cuore del film.
Con l'ufficiale nazista, il conte Graf Wolff Metternich che riesce a rimandare all'infinito l'invio dei capolavori in Germania, e quindi a salvarle, e il direttore del museo, uno dei pochi amministrativi della citta' che rimangono al loro posto e cerca di opporsi alla perdita delle opere. Proprio la loro storia, in realta' solo accennata, non diventa mai una fiction, e' la trovata piu' forte del film, sia come interesse di racconto sia come messa in scena. Con una fotografia spettacolare di Bruno Delbonnel che si inventa un modo totalmente inedito di ricostruzione degli anni 40 e gioca coi colori e con il cinema del tempo.
Ma non basta Delbonnel, invece, per farci digerire un Napoleone e una Marianna che girano come fantasmi per il vero Louvre, invenzioncina di non grande spessore e di non grande utilita', mentre la voce del regista straparla su ogni situazione e ogni angolo del museo. Grande e' la nostalgia per Luciano Emmer e i suoi documentari d'arte e la sua bellissima voce. Sokurov si serve del Louvre per spaziare su una serie di discorsi a effetto dedicati al 900, all'arte, al museo come identita' europea.
Francamente, a parte il racconto dell'ufficiale tedesco e del direttore, che avrebbe meritato piu' spazio, e a parte una sofferta divagazione su Leningrado e lo scarso rispetto che ebbero li' i nazisti per il museo dei bolscevichi, il film scivola in una zona alla Woody Allen in giro per l'Europa tra le capitali 5+2 Sokurov vende nome e virtu' per un wenderismo un po' facile.
Pronto insomma, mentre in Italia i musei scivolano nelle mani dei manager europei (per farne cosa?), magari anche per la vita di Baratta o per la storia degli Uffizi. "Francofonia" non e' ne' "Faust" ne' il capolavoro che ci era stato annunciato. Probabilmente non meritava neanche il concorso, ma un dignitoso fuori concorso.
Sokurov dice anche cose interessanti e profonde sul Louvre e sull'idea europea di museo, ma quando ammette di aver parlato troppo, non possiamo non rispondergli che e' vero. Inoltre e' gia' maniera, e' gia' sokourismo. Qualcosa piu' vicino ai dvd di "Repubblica" che al cinema. Ma i critici ieri sera lo hanno molto applaudito.