Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, sono ore e ore che mi rode dentro questa faccenda dell’addio di Franco Zeffirelli al mondo di noi umani, e dunque alla umana nostalgia che ho per questo portentoso personaggio cui sono stato in passato ripetutamente avverso, come del resto milioni e milioni di italiani che gli rimproveravano la colpa suprema di essere stato un “anticomunista di ferro”.
E un anticomunista di ferro Zeffirelli lo è ancora nello spettacolare pezzo che gli ha dedicato oggi sul “Corriere” Aldo Cazzullo, lì dove Aldo riferisce che Zeffirelli gli aveva raccontato di che cosa fossero stati capaci i partigiani comunisti con cui lui aveva avuto a che fare nella tregenda del 1943-45, quando Zeffirelli era stato comunque uno dei partigiani liberali. Erano delle bestie assetate di sangue.
Ora succede che nel 1976 o forse primissimi mesi del 1977, quando io ero ancora un giornalista iniziante, al “Paese Sera” il mio direttore Aniello Coppola (un personaggio da me adorato) mi incarica di scrivere un corsivo contro Zeffirelli che aveva pronunciato non ricordo più quali acri bestemmie contro l’egemonia politica e culturale della sinistra. Il me stesso del 1977 scattò a scrivere quel corsivo, dove non mi pare ci andassi di mano leggera contro Franco. Aniello lo mise in prima pagina, in basso. Quando ho poi conosciuto Franco, e sperimentato la ricchezza e l’eleganza umana del personaggio, mille e mille volte mi sono augurato che lui non lo avesse letto quel maledetto corsivo del 1977, un corsivo che se lo leggessi oggi non mi ci riconoscerei.
E dire che la saga negativa dei miei rapporti con Franco è continuata. Deve essere stato l’inizio degli anni Novanta, e io chiacchieravo di calcio in una trasmissione Mediaset condotta da Maurizio Mosca. Succede che a una puntata c’è Franco, il quale quando si trattava della Juve perdeva il lume della ragione. Stava dicendo cose inenarrabili contro la Juve, tanto che Roberto Bettega - a quel momento uno della Triade dirigente della Juve - si alzò e se ne andò in corso di puntata. Non credo di sbagliare se dico che per aver detto quelle cose, che io ovviamente avevo contrastato, Franco pagò alla Juve un bel fracco di soldi quale penale. Il prezzo più caro lo pagò Maurizio Mosca, che venne sbolognato via dalla trasmissione a causa delle rimostranze della Juve, furibonda di essere stata trattata alla maniera di un’entità nazista. Povero e innocentissimo Maurizio. Solo che quella sera non c’era nulla che potesse opporsi alla fiumana antijuventina di Franco.
Ebbene io dietro quella fiumana mi avvidi di un uomo che mi stava molto simpatico, di un personaggio umanamente e culturalmente ricco. Ricchissimo. Odiava la Juve, ebbene si può capire da parte di un fiorentino. L’ho poi visto più e più volte. In quella sua casa romana che era una sorta di cattedrale della storia teatrale, musicale, cinematografica del nostro Paese, una storia che era celebrata negli Usa ma non in Italia. Non ho nessuna competenza per giudicare gli apprestamenti registici e scenografici di Franco in materia di musica e teatro.
Solo che mi piaceva la sua persona, la sua ostinazione, la sua coerenza tra estetica e morale, la sua passione, ivi compresa la sua passione per la Fiorentina in maglia viola. Mi piaceva quell’immenso patrimonio di cose fatte, persone conosciute, sontuosi spettacoli firmati, case arredate fino all’ultimo centimetro quadro disponibile, Mi piaceva quella sua solitudine al tempo in cui la sinistra tutta lo aveva in spregio, e io stesso avevo scaraventato sulla bilancia quel corsivo che se lo leggessi oggi mi farebbe forse rabbrividire. Ti ho voluto bene, ti voglio bene, Franco. L’ultima volta lo avevo visto alla Stazione Termini, lui sulla sedia a rotelle. Mi disse due parole. Che hanno un posto sacro nell’album della mia memoria.
GIAMPIERO MUGHINI
L’ARTISTA TOTALE CHE SI SENTIVA POCO AMATO
Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera
Franco Zeffirelli era un uomo bello, meritatamente ricco, di successo internazionale, ma abitato da un' ossessione: non si sentiva amato ed elogiato dalla critica come era convinto di meritare. La sua colpa, diceva, era aver rifiutato di spargere il sale davanti alla statua dell' imperatore. «Sa come facevano i primi cristiani, per sfuggire alle persecuzioni? Rendevano omaggio formale al dio in terra; che nella nostra epoca è il comunismo, la sinistra. Prenda Luchino Visconti. Comunista lui? Io l' ho visto licenziare in tronco un cameriere e una cameriera che avevano dimenticato di pettinare i suoi gatti persiani. Intendiamoci: fece benissimo» e qui gli uomini di casa Zeffirelli acceleravano il ritmo di pulitura dei suoi sette cani, «però, insomma, proprio comunista no. Ricordo quando giravamo La terra trema . Vivevamo tra gente poverissima, la Sicilia del 1947 era di una povertà medievale.
Visconti prendeva il bagno caldo due volte al giorno, la mattina e la sera, nell' acqua profumata con essenza di Penhaligon, il profumo che avrei poi usato per tutta la vita, Hammam bouquet. Francesco Rosi e io, suoi assistenti, restavamo in piedi accanto alla tinozza, a dare il resoconto della giornata e prendere ordini per il giorno dopo. Poi il "comunista" Visconti ci congedava e cenava a letto, servito dal maggiordomo».
Franco Zeffirelli amava ricevere nell' archivio della sua villa sull' Appia. Marmi, mosaici, colonne facevano pensare alla villa di Capri dove Axel Munthe visse i suoi amori davanti al panorama caro a Tiberio, però Zeffirelli si schermiva: «Macché. Lei dovrebbe vedere piuttosto la mia casa di Positano», già appartenuta a Nureyev e poi venduta a Berlusconi. Negli scatoloni custodiva i segni di una vita senza confronti per varietà di orizzonti artistici e mondiali.
Le locandine con le attrici americane e francesi che aveva diretto, da Brooke Shields a Fanny Ardant. Le casse con la scritta: Gesù , Hamlet , Stuarda , Capinera , Callas forever , e anche Inferno («volevo girare la Divina Commedia nelle grotte del Timavo») e Progetto Gerusalemme («l' idea era ricostruire il primo tempio, gli israeliani erano entusiasti, sarebbe stata una grande attrattiva turistica. Poi è scoppiata la guerra»). Altro progetto, San Francesco alle Crociate , a mettere pace tra la cristianità e l' Islam. Da Visconti, però, si doveva partire. Era stato il suo maestro, e il suo amore.
«Non dico abbia sparso il sale per convenienza - diceva Zeffirelli -. Luchino era una sorta di Filippo Egalité, sensibile alle vibrazioni del tempo. Sparse il sale per farsi perdonare di essere nato in una delle famiglie più aristocratiche e più autocratiche, i signori di Milano, imparentati con una delle famiglie più ricche, gli Erba. La responsabilità è pure di Coco Chanel.
Visconti era partito per Parigi con i suoi cavalli. Il campione non conquistò Longchamps, ma il padrone, bellissimo, affascinante, conquistò Parigi.
Coco Chanel se ne invaghì, visse con lui una storia molto accesa, e gli parlava di continuo di Léon Blum e del Front Populaire. Importante fu anche l' influenza di Jean Renoir, comunistissimo, che volle Visconti come assistente e lo introdusse al cinema, lui che era cresciuto nel palazzo di famiglia con teatro di corte. Altri invece hanno obbedito al Minculpop comunista per opportunismo.
ZEFFIRELLI CON LIBRO SU FRANCESCO
Prenda Picasso: miliardario mascalzone, avido, senza nessun riguardo per gli umili, ha accumulato una fortuna senza mai fare beneficenza in vita sua». Era colpa dell' egemonia della sinistra sulla cultura - sosteneva - se la sua autobiografia tradotta in dodici lingue non trovava un editore in Italia, se il suo Giovane Toscanini era stato fischiato a Venezia: «Non sarà stato uno dei miei film migliori, però al Festival non attesero neppure di vederlo, cominciarono a rumoreggiare appena sullo schermo apparve il mio nome. Continuarono per tutto il tempo. Alle 3 di notte, mentre ero solo in camera, distrutto dalla rabbia, davanti a una bottiglia di whisky, ricevetti una telefonata. Una voce amica che mi diceva: "Mi vergogno di essere italiano. Dobbiamo salvarli da loro stessi, perché non sanno quello che fanno"». Era Silvio Berlusconi.
Solo una volta Zeffirelli ebbe un coro di consensi. Fu quando girò Un tè con Mussolini : la storia della sua infanzia e della sua formazione, a cominciare dal nome. Zeffirelli non esiste. Se l' era inventato sua madre, Alaide Cipriani. Franco si definiva «un figlio dell' amore». Il padre si chiamava Corsi ed era sposato con un' altra donna, quando lo riconobbe era già grande. La madre aveva altri tre figli, un marito in sanatorio e un negozio di moda in piazza della Repubblica. «La mia nascita fu uno scandalo per tutta Firenze - raccontava Zeffirelli -. Mia madre ne morì, quando avevo sei anni. Sono cresciuto con due cugine di mio padre. Tre volte la settimana andavo a lezione di inglese da una signora, Mary 'O Neill, che mi introdusse nel circolo degli anglosassoni di Firenze.
ZEFFIRELLI SI INCHINA ALLA REGINA ELISABETTA
C' era una ricca ebrea americana, che in Un tè con Mussolini è impersonata da Cher, la quale saldò il conto di mia madre solo dopo la sua morte, e mi consentì di studiare. E c' era la moglie dell' ex ambasciatore britannico a Roma, sino all' ultimo fiduciosa nel fascismo che aveva salvato l' Italia dai rossi.
Ero molto legato a un professore di diritto romano che viveva nel convento di San Marco: Giorgio La Pira. Fu lui a spiegarmi che l' aborto è un crimine e che i totalitarismi, fascismo nazismo comunismo, sono tutti uguali, ma il comunismo è più pericoloso. La Pira non era un pacifista. Fu lui a dirmi di salire sull' Appennino per combattere nazisti e fascisti, ad ammonirmi che bisogna essere pronti a impugnare la spada per difendere Cristo da chi lo nega».
Zeffirelli in effetti è stato un partigiano. Liberale. Che rischiò di essere ammazzato da altri partigiani. Comunisti.
«Li vidi fare cose orribili, assassinare un prete solo perché aveva benedetto le salme dei fascisti e gettare il suo corpo nella fossa che usavano come latrina. Cose che non si dimenticano. Un giorno pretesero di disarmarci. Ci salvò un gruppo di polacchi fuggiti dal campo di prigionia, che rifiutarono di consegnare i fucili. Altrimenti mi avrebbero sparato alle spalle, com' erano soliti fare, per poi presentarmi come un caduto in battaglia».
Il maestro non riteneva chiusa la ferita della guerra civile e finita la Guerra Fredda.
«Siamo ancora lì. Non sono cambiati. Hanno distrutto il partito socialista. Impediscono all' Italia di diventare una democrazia normale. Alimentano l' oscenità e la stupidità dei centri sociali, finti ribelli figli di veri ricchi; la penso come Pasolini, un altro che aveva sparso il sale ma fu sempre molto carino con me, grande amico e grande scrittore, anche se non grande regista». Benigni? «Me lo ricordo trent' anni fa: faceva i numeri ai tavoli dei ristoranti romani, almeno quelli gli venivano bene. Non ricordo invece un suo film riuscito, tranne forse Johnny Stecchino . Di Moretti non saprei dire, nessuno dei suoi film mi è passato oltre le cornee».
FRANCO ZEFFIRELLI FOTO ALESSANDRO PENSO PER LESPRESSO
Il suo sogno era fare un film - ovviamente costosissimo - sulla rivalità tra Leonardo e Michelangelo. Poteva passare ore a dissertare sui due Rinascimenti fiorentini: l' esplosione quattrocentesca di Brunelleschi, Donatello, Masaccio; il mistero della stasi medicea; e poi la grande stagione dei primi anni del '500. Poi si inoltrava nelle differenze tra le attrici americane e delle francesi - le prime esplicite, le seconde conturbanti -, passeggiando nel suo giardino attorno al monumento al cane. Dono di Luchino Visconti.
mughini cover giampiero mughini mughini giampiero mughini