(ANSA) - Il governo italiano ha riconosciuto davanti alla Corte europea dei diritti umani che le autorità dello Stato sono responsabili del suicidio di un detenuto, Anas Zemzami, avvenuto nel carcere di Pesaro il 25 ottobre del 2015: in una comunicazione alla Corte di Strasburgo Roma afferma di aver violato il diritto alla vita e a non subire trattamenti inumani e degradanti di Anas Zemzami, e che verserà alla sorella 32mila euro per danni morali e altri 1.000 per coprire le spese legali che ha sostenuto.
A perorare la causa di Anas Zemzami alla Cedu è stata proprio la sorella. Il 2 marzo del 2020 ha presentato un ricorso in cui sosteneva che le autorità non avevano preso tutte le misure necessarie a proteggere la vita di Anas e che le indagini sulla sua morte sono state inefficaci. Inoltre la donna afferma che le autorità carcerarie, attraverso il trattamento riservato al fratello prima del suicidio, e in particolare la presunta incapacità di fornirgli cure mediche tempestive e adeguate, l'hanno sottoposto a trattamenti inumani e degradanti.
La sorella di Anas non voleva accettare la dichiarazione di colpevolezza del governo italiano e avrebbe preferito che la Cedu proseguisse l'esame del caso, soprattutto perché Roma non si è impegnata a riaprire un'indagine su quanto è accaduto prima del suicidio di Anas. Ma a questo proposito la Cedu evidenzia che la sua decisione di accettare la dichiarazione del governo non esime le autorità italiane dal loro obbligo di condurre un'indagine approfondita ed efficace per far luce sui fatti, anche in considerazione del fatto che l'Italia ha riconosciuto la violazione dei diritti di Anas.