Guido Olimpio per il ''Corriere della Sera''
Passi veloci in diagonale verso sinistra, alcuni spari per costringere l' agente a restare dietro una colonna. Quindi uno scarto verso destra, repentino. Il terrorista è arrivato alle spalle della preda che lo attendeva dall' altro lato.
Le immagini mostrano l' assassino con la postura che insegnano al poligono: la gamba sinistra ben piantata in avanti, il fucile d' assalto impugnato saldamente e poggiato sulla spalla destra. Davanti il target.
Altri colpi da distanza ravvicinata. La sagoma scura che scivola al suolo senza vita. L' omicida che avanza ancora usando il colonnato come schermo. E' la scena più dura dell' imboscata di Dallas, ad appena sei minuti di distanza dal famigerato palazzone dove, il 22 novembre del 1963, si appostò Lee Oswald per far fuoco sulla limousine scoperta del presidente J.F. Kennedy.
Il quadrilatero trasformato in campo di battaglia, con tattiche militari. Del resto il presunto assassino, Micah Xavier Johnson, non aveva precedenti ma ha servito nella riserva dell' Us Army, un periodo sufficiente a imparare come maneggiare la copia di un mitra.
La preparazione
Il cecchino si è preparato alla missione. Indossava un giubbotto anti-proiettile, aveva una grande scorta di munizioni ed un' arma sufficientemente potente. Voleva essere in grado di resistere alle forze dell' ordine. Sapeva che avrebbero usato a loro volta un fuoco adeguato. Gli investigatori ritengono che abbia pianificato meticolosamente l' imboscata scegliendo luogo e momento più propizi. La manifestazione di protesta è diventata il suo alleato.
Il servizio d' ordine del Dipartimento guardava le persone che sfilavano, monitorava la folla, magari temevano incidenti e non pensavano ad una minaccia esterna. La normale confusione del corteo lo ha forse aiutato ad avvicinarsi alla posizione scelta per scatenare l' attacco. Un' ombra sfuggente, un infiltrato dietro le linee invisibili ma reali di un mondo dilaniato dalle tensioni razziali.
L' imboscata
patrick zamarripa poliziotto ucciso a dallas
Johnson ha potuto scegliere ed ha usato il fattore sorpresa. Ha preso di mira i primi agenti che ha inquadrato con il suo mirino, poi i rinforzi. C' è voluto del tempo prima di identificare origine e posizione dell' aggressore. Molte testimonianze, così come la ricostruzione iniziale delle autorità, hanno parlato di fuoco dai tetti, con angolazioni diverse, a realizzare una trappola in mezzo alla quale sono finiti uno dopo l' altro i poliziotti. I primi due attorno alle 20.45 ora locale, a seguire gli altri rimasti a terra sull' asfalto accanto al loro veicolo mentre i colleghi hanno dovuto cercare riparo. Per evitare altre perdite e, nel contempo, organizzare la risposta.
micah johnson riservista dell esercito
Sempre sotto il fuoco. Momenti confusi, con notizie contrastanti, la segnalazione su altri 4 sparatori (non confermati), il fermo di due uomini ed una donna. Micah ha mantenuto l' iniziativa. Scenario non diverso da quello dei terroristi jihadisti visti in azione nell' attentato a Charlie Hebdo o al Bataclan. L' agente freddato nella metropoli texana ricorda il vigile trucidato a Parigi dai Kouachi. Movente diverso. Movenze identiche di chi vede nel prossimo un bersaglio.
L' assedio
Chiusa la prima fase, lo sparatore si è spostato forse per cercare una via di fuga ma avendo in mente anche il piano B che prevede la fine «gloriosa», con l' ultimo combattimento oppure il suicidio per non cadere in mano al nemico. In questo caso doppio, «uno sbirro che ammazza i fratelli».
il killer di dallas ammazza un poliziotto
Johnson si è barricato in un parcheggio sotterraneo, ha tenuto testa alle unità speciali, ha minacciato, ha spiegato le motivazioni del suo odio, ha parlato di bombe nascoste in città. Forse cercava di prendere tempo imitando lo stragista di Orlando, Omar Mateen, che trincerato nel night club sosteneva di averlo minato.
il killer di dallas ammazza un poliziotto il killer di dallas ammazza un poliziotto il killer di dallas ammazza un poliziotto il killer di dallas ammazza un poliziotto
Johnson, probabilmente, sperava che fossero le teste di cuoio a stanarlo rischiando le loro vite. Invece gli hanno mandato un robot. Dotato di telecamera, guidato a distanza, trasportava con il suo braccio mobile una carica esplosiva: lo hanno fatto filare all' interno del suo «bunker» improvvisato. Un piccolo impulso sul radiocomando e la bomba vera ha distrutto quella umana.