Elena Tebano per "La 27esima ora" di www.corriere.it
Ci sono voluti 12 anni di tentativi, ma adesso Malka Leifer è finalmente tornata in Australia, dove l’aspetta un processo per stupro dopo che otto studentesse della scuola ebraica ultraortodossa di Melbourne di cui era preside l’hanno accusata di violenze sessuali (i magistrati le contestano 74 «episodi», lei li ha sempre negati e per un periodo ha persino finto una malattia psichiatrica, come ha accertato la Corte Suprema di Israele, dove era fuggita).
Leifer è innocente fino a prova contraria, ma nel 2015 un giudice australiano ha riconosciuto le ragioni della sua principale accusatrice, Dassi Erlich, e ha condannato la scuola che Leifer ha guidato dal 2003 al 2008, la Adass Israel School, a pagarle 1,2 milioni di dollari di danni, come racconta AbcNet Australia.
La sua vicenda dimostra la difficoltà anche solo di concepire che vi sia un abuso sessuale quando a perpetrarlo è una donna. Erlich ha raccontato inoltre che le violenze che imputa alla preside sono state facilitate dall’ambiente chiuso e contrario a ogni forma di educazione sessuale della comunità chassidica in cui vivevano, e che Leifer — sempre secondo la denuncia della sua presunta vittima — ha approfittato del suo ruolo di guida educativa e religiosa per compiere impunemente gli abusi.
Leifer sapeva infatti delle difficoltà che la ragazza aveva in famiglia, con una madre violenta, scrive The Age. «Lei si era già interessata a mia sorella maggiore prima — ha raccontato la vittima nel processo per danni alla scuola Adass —. Così quando si è avvicinata a me ha detto che sapeva cosa stava succedendo a casa e che poteva aiutarmi».
le accusatrici di malka leifer
La preside ha iniziato a darle lezioni private di religione, durante le quali — ha raccontato Erlich — la toccava attraverso i vestiti. Poi, secondo la sua ricostruzione, quando la ragazza ha raggiunto l’età di 15 o 16 anni, i contatti sono diventati sempre più apertamente sessuali, fino allo stupro.
Leifer avrebbe giustificato gli atti sessuali dicendo che servivano a «prepararla al matrimonio». «La parola “sesso” non veniva mai menzionata. Eravamo coperte, fondamentalmente dal collo fino ai piedi. Non abbiamo parlato affatto dei nostri corpi, non abbiamo discusso nulla che avesse a che fare con la nostra identità sessuale» ha spiegato ancora Erlich.
A lungo ha avuto paura a parlare degli abusi, anche a causa della considerazione di cui Leifer godeva nella comunità Adass, un’enclave ultra-ortodossa di circa 150 famiglie nei quartieri di Elsternwick e Ripponlea, a Melbourne. «La comunità è la scuola e la scuola è la comunità. Poiché era il capo della scuola, l’intera comunità la ammirava e la idolatrava» ha detto.
Solo dopo aver fatto una psicoterapia, ad anni di distanza, ha trovato il coraggio di denunciare. In seguito altre ragazze, tra cui le sue due sorelle Elly Sapper e Nicole Meyer, hanno raccontato abusi simili, che sarebbero avvenuti a scuola, nei campi estivi (dove la preside accompagnava le studentesse) e a casa sua.
Quando le accuse sono emerse nel 2008 Leifer, suo marito e cinque dei loro figli sono fuggiti dall’Australia nel cuore della notte fino a Tel Aviv. A lungo Israele non ha dato seguito alle richieste di estradizione, e solo nel 2014 ha arrestato una prima volta Leifer, ma l’ha rilasciata sostenendo che non era in condizione di subire un processo.
Ci sono volute 70 udienze in un processo durato 6 anni perché concedesse l’estradizione. Leifer per evitarla ha sostenuto di avere gravi disturbi psichiatrici e l’ex ministro della Salute israeliano Yaakov Litzman, che appartiene alla stessa corrente ultraortodossa della presunta pedofila, è stato accusato — riporta il Guardian — di «aver fatto pressione sugli psichiatri per alterare le conclusioni dei loro rapporti sull’ex preside della scuola di Melbourne in modo che un tribunale la trovasse mentalmente incapace sostenere un processo per le accuse di abusi sessuali su minori».
Alla fine l’anno scorso, ricostruisce la Bbc, un giudice della corte distrettuale di Gerusalemme ha stabilito che Leifer si era «spacciata per una persona con problemi mentali» per evitare l’estradizione e che doveva essere mandata in Australia per essere processata, una decisione confermata alla Corte Suprema d’Israele.
«Tutti coloro che cercano di sfuggire alla giustizia devono sapere che non troveranno un luogo di rifugio in Israele», hanno scritto i giudici nella sentenza. Adesso toccherà alla magistratura australiana fare giustizia. Ma senza l’ostinazione e il coraggio di Dassi Erlich, Elly Sapper e Nicole Meyer, la loro presunta stupratrice non sarebbe mai finita sotto processo.