Giordano Teboldi per Libero Quotidiano
La guerra nel ventunesimo secolo si combatte non solo con le armi e con le sanzioni, né, come un tempo, tagliando gli approvvigionamenti. O meglio, è cambiato il concetto di approvvigionamento, che fino a poco tempo fa indicava solo i viveri, e oggi anche molti consumi culturali o di intrattenimento, ritenuti non meno indispensabili a una vita degna. È il risultato di quella che lo scrittore Walter Siti, in un articolo sul "Domani", ha chiamato la post-realtà spettacolare.
«Non voglio il Donbass, datemi Netflix», è il grido di un ragazzo russo citato da Siti. Vorremmo tranquillizzare il ragazzo: finita la guerra avrà entrambi: il Donbass su Netflix, in una serie naturalmente. Tutto oggi finisce in una serie: i libri, già scritti col contratto firmato per una delle piattaforme streaming; la vita, già vissuta per essere sceneggiata; e le guerre, combattute per essere poi tritate in un videogame o ricostruite su un set.
Ma non c'è qualcosa di grottesco nel lamento dei giovani russi, che privati di Netflix e di Facebook, ora dovranno anche rinunciare ai videogiochi, visto che ieri sia Nintendo che Sony hanno annunciato l'interruzione delle consegne verso la Russia? L'azienda che distribuisce la Playstation ha comunicato la sospensione del lancio di "Gran Turismo 7" auspicando che possa contribuire alla pace.
La mancata distribuzione di un videogioco può giocare un ruolo nella cessazione del conflitto? Putin ritira i suoi tank perché gli adolescenti russi non possono sfidarsi nelle corse automobilistiche virtuali? Gli assalti alle centrali nucleari ucraine saranno annullati perché la Nintendo bloccherà le consegne della sua favolosa console "Switch"?
Certo, per chi è rimasto ai tempi di "Guerra e Pace", all'invasione napoleonica della Russia raccontata da Tolstoj, quando il maresciallo Kutuzov ammoniva l'aggressore francese che «avrebbe mangiato la carne dei suoi cavalli!» queste iniziative possono sembrare francamente ridicole. E un poco, in effetti, lo sono. Saremo pure nella "post-realtà spettacolare", ma un Putin intenerito e infine piegato dalla gioventù russa affamata di serie, Facebook e videogiochi ci sembra un po' troppo.
E tuttavia, oggi, anche questo ha un peso. Per capirlo possiamo fare un piccolo esperimento mentale: immaginare di essere noi stessi in guerra, e di subire un oscuramento dei social, un azzeramento delle nostre rincitrullite serate davanti agli schermi a vedere tutta la filmografia occidentale dai fratelli Lumière a oggi, e infine, mazzata finale soprattutto per chi ha figli ancora giovani, o per quelle famiglie in cui ci sono adulti attardati, un embargo giapponese che ci priva dei migliori videogiochi.
Quanto resisteremmo prima di assistere a fenomeni di isteria collettiva incontrollata, a scontri di piazza violentissimi, a tumulti che rovescerebbero il governo più tenace, figurarsi quelli di zucchero filato cui siamo abituati? Forse non sarà la fuga da Mosca di Amazon, Netflix e Disney con tutto il loro oppio audiovisivo a far ritirare le truppe russe, né l'impossibilità di provare nuovi videogiochi, ma una certa apprezzabile astinenza si diffonderà nella popolazione, un'astinenza di cui non possiamo per ora prevedere gli effetti perché è il fenomeno stesso che è nuovo.
ucraina mariupol sotto attacco 6
Eravamo preparati, almeno culturalmente, a gestire altre ristrettezze in tempo di guerra: alcuni ancora ricorderanno gli effetti devastanti, dal punto di vista psicologico, della borsa nera. Forse un domani si parlerà dell'impossibilità di giocare a "Gran Turismo 7" in termini quasi altrettanto drammatici.