Valentina Lanzilli per il "Corriere della Sera"
«Sono libera, sono libera». E poi un pianto a dirotto al telefono con il suo legale italiano, che ha ricevuto la chiamata nel cuore della notte. A un anno di distanza dalla morte della socia e amica Claudia Lepore, 59 anni, seviziata e uccisa a Santo Domingo, la modenese Ilaria Benati, 43enne, che in quei giorni si trovava sull'isola con lei (assieme avevano avviato il bed&breakfast «Villa Corazon»), è stata prosciolta e presto potrà lasciare il carcere di Higuey, dove è stata detenuta per tutta la fase delle indagini preliminari con l'accusa di essere la mandante di quel brutale omicidio.
«Il mio desiderio più grande è riabbracciare mia madre», ha detto la donna, dopo la decisione del giudice che ha dichiarato nei suoi confronti il «non luogo a procedere», a distanza di 13 mesi dai fatti (e sette rinvii d'udienza). Benati era indagata insieme all'immobiliarista Jacopo Capasso, 45 anni, originario di Pistoia (anche lui prosciolto), che nel gennaio del 2021 l'aveva accompagnata a fare denuncia della scomparsa di Claudia Lepore, trovata poi cadavere in un frigorifero a Punta Cana, nella parte orientale della Repubblica Dominicana.
Rinviato a giudizio, con l'accusa di violenza sessuale, omicidio e occultamento di cadavere è stato dunque solo Antonio Lantigua, 47 anni, detto «El Chino», il dominicano che, appena arrestato, aveva accusato di stato «ingaggiato» dai due italiani per compiere l'omicidio, dietro il pagamento di 200mila pesos (equivalente a poco meno di tremila euro). Per poi ritrattare. Una versione, quella di Lantigua, che non ha trovato riscontri.
«Una ferita che per noi non si è chiusa, non avremo mai pace», ha commentato Anna Lepore, sorella di Claudia, che da mesi chiede giustizia e chiarezza. «Aspettiamo ora che la sentenza diventi esecutiva», sottolinea invece Luca Brezigar, avvocato difensore di Ilaria. «Ilaria e Jacopo sono ancora nel penitenziario, ci vogliono dai tre ai sette giorni per uscirne definitivamente». Una detenzione dura e difficile per la Benati, provata fisicamente e psicologicamente.
«In questi mesi infernali quando poteva usare il cellulare. Mi ha raccontato che all'inizio era detenuta in una cella con altre 15 donne, in piena pandemia e il cibo non era garantito tutti i giorni», continua l'avvocato Brezigar. «Per tre udienze non è stata portata in aula, quando avrebbe dovuto testimoniare. Una vicenda che per fortuna si è conclusa, da sempre caratterizzata dal deserto probatorio, basata sulla confessione di un uomo che poi ha ritrattato. Nessun movente, nessuna prova a carico di Ilaria, alla quale ho consigliato di tornare subito in Italia appena riavrà il passaporto».
claudia lepore e ilaria benati
La posizione della donna dovrà comunque essere vagliata per legge anche dalla Procura di Modena, come sancito dai trattati internazionali, che prevedono un secondo processo, vista l'accusa di omicidio, una volta rientrati in patria. Gli avvocati nominati dalla famiglia della vittima, Enrico Aimi e Giulia Giusti, intanto fanno sapere che valuteranno se impugnare la sentenza di non luogo a procedere.
«La nostra amarezza è quella di non aver potuto seguire da vicino le indagini», dicono. «Fuori dalle suggestioni rimane ancora da chiarire che fine hanno fatto il testamento di Claudia Lepore e buona parte dei suoi averi. Anche in questi casi, seguire il denaro, è sempre una "pista" molto consigliata. Attendiamo pazienti le motivazioni, poi, insieme alla famiglia, decideremo il da farsi».
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