Bidone, sòla, buca. Ovvero: «no show». L'anglicismo non rende meno sgradevole il non presentarsi al ristorante dopo aver prenotato. C'è quello che prenota cinque o sei posti diversi con nomi di fantasia per poi decidere all'ultimo ma non disdice. C'è il cliente (di solito straniero, sono i meno affidabili) di un hotel che chiede al concierge di prenotargli un posto per la sera, poi torna stanco dopo una sfacchinata da turista e opta per un sandwich con servizio in camera. C'è quello che ha le idee chiare, poi però incontra l'amico che lo convince ad andare con lui in un posto «fighissimo» e si dimentica di avvertire il posto che lo aspetta.
Un atto di noncuranza e maleducazione che a chi lo fa pare trascurabile ma che è un vero dramma per il ristoratore, soprattutto quando si tratta di locali di alto livello, per i quali rimpiazzare un cliente in contumacia è quasi impossibile. Quindi, soprattutto il venerdì e il sabato, un mancato guadagno. Secondo Claudio Sadler, titolare di uno dei ristoranti più noti di Milano, uno scherzetto da 35mila euro l'anno. «Praticamente il costo annuo di un dipendente».
Oggi la tecnologia forniscono ai ristoranti strumenti innovativi per combattere gli habitué della prenotazione facile. «Attualmente in Italia noi abbiamo una percentuale di no show del 2,8, ma quando due anni fa abbiamo iniziato era del 5», spiega Almir Ambeskovic, country manager di the Fork, la piattaforma leader nella prenotazione di ristoranti, di proprietà di TripAdvisor, che ieri ha dedicato al problema un incontro a Milano. In realtà le realtà come the Fork, che per i ristoratori sono un vero e proprio sistema gestionale della prenotazione, sono solo un disincentivo al «no show».
The Fork impedisce che si possa prenotare più di un ristorante con lo stesso nome e ha un complesso e insistente sistema di recall per confermare la prenotazione. Non solo: il cliente che dà buca vede la sua fedina «alimentare» macchiata e i ristoranti sanno che è un cliente a rischio. Sistemi che in parte funzionano, ma che sono aggirabili attraverso l'utilizzo di differenti profili legati a diversi cellulari.
«Avevamo una cliente che dava buca in maniera seriale - racconta Claudio Liu, titolare di Iyo a Milano, l'unico ristorante giapponese stellato d'Italia - e l'abbiamo bannata. Poi abbiamo scoperto che continuava a prenotare a vanvera con i nomi della figlia, del marito eccetera».
Eppure il sistema ci sarebbe: legare la prenotazione a una carta di credito da cui il ristoratore preleva una caparra che, in caso di tradimento, può trattenere. Un sistema comune all'estero ma che incontra molte resistenze in Italia.
«Quando chiediamo il numero di carta di credito il cliente scappa», ripetono in coro i ristoratori. Sarebbe diverso però se i locali facessero sistema e, grazie magari anche a un disegno di legge ad hoc, applicassero tutti la stessa reservation policy. «Così il cliente sarebbe educato e diventerebbe normale dare la carta di credito come quando si prenota un'auto a noleggio», dice Alessandro Pipero, titolare di Piepro al rex a Roma.
In assenza di regole vige il fai-da-te. Come l'overbooking praticato da cristina Bowerman di Glass Hosteria a Roma. O il metodo da commedia all'italiana dello stesso Pipero: «Alla prenotazione mi faccio dare il cellulare, quindi lo salvo e lo cerco su Whatsapp. Se non è attivo dal '15-'18 sicuro è un sòla. E se la prenotazione arriva da un hotel ci mando un pischello col vespino e lascio un biglietto al cliente che ha prenotato, che così si sente più responsabilizzato».
In realtà c'è una cosa che ferisce gli chef più del mancato guadagno: l'oltraggio. «Chi non viene dopo che gli abbiamo preparato il tavolo non rispetta il nostro lavoro», dice Antonio Santini del Pescatore di Canneto sull'Oglio. «I giovani soprattutto vivono il ristorante come divertimento, quindi perché chiamare per disdire?», dice Sadler. Chi dà buca danneggia anche te, digli di smettere.