Vittorio Sabadin per "La Stampa"
Il British Museum non rimuoverà più dalle sue collezioni oggetti che vengono contestati per motivi ideologici o politici. Basta con la furia iconoclasta alimentata dal movimento «Black Lives Matter» e basta anche con le richieste di restituzione di reperti da parte dei Paesi che li possedevano. Le statue e gli oggetti resteranno dove sono. La decisione del più importante museo londinese sarà imitata da altre istituzioni, che non ne possono più delle continue richieste di decolonizzare le collezioni, di chiedere scusa, di rimuovere busti di fondatori che tre secoli fa erano razzisti.
A fare decidere i direttori è stata una durissima presa di posizione del governo britannico, contenuta in una lettera del ministro della Cultura, Oliver Dowden: i musei che ricevono finanziamenti pubblici, «non devono intraprendere azioni motivate dall'attivismo o dalla politica», ma devono continuare ad «agire in modo imparziale». Le decisioni prese di recente da alcune istituzioni «minacciano la comprensione del nostro passato collettivo» e non sono giustificate. Ma il passaggio decisivo era nelle righe conclusive: la questione è importante in quanto «il governo sta effettuando una revisione della spesa nella quale ogni esborso sarà valutato con attenzione».
Se volete ancora soldi pubblici, ha detto in sostanza Dowden, smettetela di dare retta agli scalmanati che stanno portando all'estremo una giusta protesta, e continuate a difendere e a rappresentare la storia britannica, «giusta o sbagliata che sia», come ha aggiunto il premier Boris Johnson. Le manifestazioni in favore del «Black Lives Matter» erano state particolarmente vivaci in Gran Bretagna, con l'abbattimento a Bristol della statua del mercante Edward Colston, gettata in mare, e l'imbrattamento del piedistallo della statua di Winston Churchill in Parliament Square.
Il clima pesante aveva indotto molti dirigenti di musei a piegarsi: il British Museum, la Tate Gallery, l'Imperial War Museum, la National Portrait Gallery, lo Science Museum, il Victoria and Albert e la British Library si erano detti pronti a rimuovere, ridiscutere o spiegare meglio al pubblico gli oggetti contestati.
Il British Museum aveva persino rimosso il busto di uno dei suoi fondatori, Sir Hans Sloane, perché possedeva schiavi e la sua collezione di 71.000 pezzi, interamente donata allo stesso museo, era stata creata nel contesto dell'impero britannico. Per il governo conservatore di Boris Johnson si era ormai raggiunto un livello di arrendevolezza non più sopportabile. Il Natural History Museum era arrivato a definire «offensiva» la collezione di Charles Darwin, perché raccolta in un viaggio colonialista. Il suo direttore, Michael Dixon, aveva detto persino che «i musei sono stati creati per legittimare un'ideologia razzista».
A Downing Street la pensano diversamente: è necessario e doveroso combattere contro la discriminazione razziale, ma non lo si deve fare cancellando la propria storia. Il British Museum ha approfittato della nuova disposizione ministeriale per porre fine alle diatribe sulla restituzione ai paesi d'origine di numerosi reperti che custodisce da tempo: i Marmi del Partenone, la Stele di Rosetta, un Moai dell'Isola di Pasqua, i Bronzi del Benin. La trattativa con la Grecia per i Marmi aveva fatto qualche passo avanti, ma ora si fermerà. I fregi erano stati portati a Londra nel 1812 dall'allora ambasciatore britannico nell'impero Ottomano, Edward Bruce, 7° conte di Elgin.
All'epoca, l'Acropoli era una fortezza turca e il Partenone era oggetto dei tiri delle artiglierie e dei fucili: considerato dai greci un predone, a Londra Elgin è invece ritenuto il salvatore delle metope di Fidia. Si bloccherà probabilmente anche la restituzione all'Isola di Pasqua del Moai Hoa Hakananai' a che troneggia nella Wellcome Gallery, portato a Londra nel 1868 dal capitano di una nave inglese come regalo per la regina Vittoria.
La Stele di Rosetta, presa alla Francia dopo la sconfitta di Napoleone, continuerà ad accogliere i visitatori nella sezione egizia, e resteranno al loro posto i Bronzi del Benin, saccheggiati nel 1897 dalle truppe inglesi nel palazzo imperiale. Niente dunque si muoverà più dalle teche per ragioni politiche o perché lo chiede una schiera di attivisti.
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Il British si è impegnato a «contestualizzare e reinterpretare» la descrizione degli oggetti contestati, in modo che «il pubblico sia messo nella condizione di comprenderli nella loro integrità»: il massimo possibile, per una nazione disposta a discutere il proprio passato, ma non certo a vergognarsene.
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