Mic. All. per “il Messaggero”
I condannati al 41 bis potranno essere mandati ai domiciliari solo sulla base dei pareri, vincolanti, espressi dalla Direzione nazionale antimafia e delle procure distrettuali. È il decreto con cui il governo ha deciso di arginare le scarcerazioni di boss della criminalità organizzata che erano state disposte nei giorni scorsi dalla magistratura di sorveglianza, nel pieno dell'emergenza Coronavirus, per ragioni di salute. In un passaggio del decreto approvato dal Cdm c'è questo, ma non solo.
La stretta infatti, potrebbe essere anche più severa: in una delle bozze si legge che è previsto un parere preventivo dell'ufficio diretto da Federico Cafiero De Raho e delle procure distrettuali anche per quanto riguarda la concessione di permessi ai boss che sono in carcere. «Il governo risponde con i fatti», ha detto il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, illustrando alla Camera il provvedimento, liquidando come «totalmente e inequivocabilmente falso» il messaggio per cui «il governo starebbe scarcerando i mafiosi».
Il decreto agirà senza minare l'«autonomia e l'indipendenza della magistratura - ha specificato il Guardasigilli - non c'è alcun governo che possa imporre o anche soltanto influenzare le decisioni dei giudici». Un passaggio necessario per sottolineare che il parere preventivo delle procure non deve essere visto come una manifestazione di «sfiducia» nei confronti dei magistrati di sorveglianza, «che meritano rispetto». Con l'emergenza virus, le richieste di scarcerazioni si sono moltiplicate. Tra quelle che sono state accolte, alcune, come quelle di Pasquale Zagaria, di Francesco Bonura, di Vincenzino Iannazzo e di Pietro Pollichino di Corleone, hanno sollevato le proteste degli stessi pm antimafia.
Nel decreto ci sono altri due punti importanti: l'entrata in vigore della legge Orlando sulle intercettazioni viene rinviata a settembre, e vengono previste limitazioni per i processi da remoto. Non si potranno celebrare nella modalità di videoconferenza quelli in cui è prevista «la discussione, l'esame di testimoni, di consulenti, di parti e periti». Ieri c'è stata anche un'altra novità: l'ex pm di Palermo Roberto Tartaglia, è stato nominato vice capo del Dap.
LA POLEMICA
Il decreto ha comunque suscitato le proteste dei stessi giudici di sorveglianza, che si sentono in qualche modo commissariati. Il loro coordinamento ha denunciato «la campagna di delegittimazione» a cui sono stati sottoposti. In loro soccorso sono scesi in campo i consiglieri del Csm: i togati di Mi hanno chiesto al Comitato di presidenza l'apertura di una pratica a tutela dei giudici. E anche i consiglieri delle altre correnti hanno espresso il loro sostegno.
Nel mirino c'è il secondo articolo della bozza, che riguarda la concessione di permessi, domiciliari, scarcerazioni: i giudici di sorveglianza dovranno obbligatoriamente chiedere il via libera al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto dove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza. Per i detenuti sottoposti al carcere duro sarà necessario anche il parere della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo. Salvo esigenze di eccezionale urgenza, inoltre, il permesso non può essere concesso «prima di 24 ore dalla richiesta dei predetti pareri».
Ieri non si è placata nemmeno la bufera politica, soprattutto per la scelta del ministro e del capo del Dap di «disertare» la Commissione Antimafia dove erano stati convocati per «chiarire l'assurda concessione dei domiciliari a numerosi boss», dicono i deputati della Lega. Ci sono state frizioni anche all'interno della maggioranza. Per Cosimo Ferri, di Italia Viva, le misure annunciate sembrano «finalmente serie», ma per il suo collega di partito, Gennaro Migliore, che per le scarcerazioni chiede la rimozione dei vertici del Dap, il rischio è di compromettere l'autonomia e l'indipendenza della magistratura. Anche Valter Verini (Pd) ha puntato l'indice sul Dap: «La vicenda del monitoraggio di tutti i carcerati ultra settantenni gravemente malati è stata gestita in modo sbagliato».