Elisa Messina per www.corriere.it
La vicenda di S., 43 anni, milanese, è esemplificativo che qualcosa a Milano non sta funzionando come dovrebbe nella gestione dei tamponi, nel tracciamento dei positivi e nel servizio di informazioni al pubblico a carico dell’Azienda Territoriale Sanitaria. Con conseguenze pesanti nel controllo dell’epidemia in un territorio critico e complesso come quello dell’area cittadina di Milano. Procediamo con ordine. S. lavora nel mondo della pubblicità, ha una moglie e due figli in età scolare, abita in città. E questa è la sua storia.
Al drive through: “Scusi, lei ha il covid?”
Tutto è partito, come spesso avviene, dalla comunicazione che una persona con cui S. era stato a contatto era positivo. «Un collaboratore con cui avevo fatto anche un viaggio in auto, a fine settembre. Dopo pochi giorni dal “contatto” sono apparsi dei sintomi di raffreddore. Non gli non ho dato molto peso perché anche mio figlio aveva avuto il raffreddore e capita spesso che poi lui lo passi a me. Ma dopo che il collega mi ha riferito della sua positività mi sono attivato subito per prenotare un tampone».
L’azienda per cui lavora S. ha fissato una convenzione con il Centro Auxologico di Milano, così lui decide di procedere privatamente: il 7 ottobre prende il motorino ( l’auto la stava usando la moglie) e va personalmente al’Auxologico. Ma lì lo avvertono che, dal momento che è sintomatico, non possono farlo entrare nella struttura e deve andare in uno dei centri diagnostici dove si fanno i tamponi “drive through”, ovvero in auto.
«Allora sono andato all’ospedale San Carlo e mi sono messo in coda con il mio motorino. Per fortuna, mentre aspettavo, un addetto passava a dare le informazioni: per fare il tampone era obbligatoria una prenotazione oppure aver attivato la richiesta tramite Ats. Così, durante l’attesa chiamo il mio medico di famiglia, o meglio, gli mando un messaggio urgente, lui mi richiama e subito attiva la procedura tramite Ats.
Posso fare il mio tampone. Quando arrivo davanti all’addetto questo mi chiede “ha i sintomi?” rispondo di si. Poi mi chiede “ha il covid?” Rispondo che sono qui per scoprirlo, ma la domanda mi stupisce». Ma è solo la prima stranezza di una serie. Perché lo stesso addetto, alla domanda “Finché non ho la risposta devo stare isolato?” risponde “no, non importa, può fare quello che vuole”. Risposta sbagliata.
«Isolamento? Non è necessario»
Al servizio tamponi dicono anche a S., e questo è corretto, che la risposta sarebbe arrivata entro 72 ore: sarebbe arrivata al suo medico e sarebbe stata inserita nel fascicolo sanitario elettronico. Un servizio che ogni cittadino può attivare se dispone di una spid, ovvero l’identità digitale, oppure la “cie” (carta d’identità elettronica) o la tessera sanitaria con il lettore. Ma S., come tanti, non ha nessuna di queste.
«Perché mi hanno rubato il portafoglio e da circa un anno sto aspettando dalla Regione Lombardia una nuova tessera sanitaria. Però il mio medico ha accesso al mio fascicolo e mi ha detto che avrebbe controllato lui. Così mi tranquillizzo».
Passano le prime 24 ore e parlando con amici e conoscenti S. viene a sapere che in caso di positività si viene avvisati entro le 24 ore dal tampone. Informazione corretta. Infatti, solitamente, la fornisce lo stesso addetto del drive through che procede al prelievo o l’operatore sanitario al telefono quando si fa una prenotazione, ma ad S. non è stata data, anzi, gli è stato detto che può uscire tranquillamente. Un errore che, come vedremo, può avere sgradevoli conseguenze.
Sei giorni per avere il referto positivo
«Passate le 24 ore inizio a mandare messaggi al mio medico per sapere del referto, lui non trova niente, io penso: ok, sono negativo, anche perché nel frattempo mi era passato tutto.
Arriva il weekend, esco a fare una passeggiata, vado a cena fuori. Lunedì 12 ottobre sono passati 5 giorni dal mio tampone e il mio medico ancora non trova il mio referto. Finalmente il 13 mattina, sei giorni dopo il tampone, il medico mi scrive una cosa sibillina: tampone del 9 positivo, quello del 10 negativo.
Ma io non ho fatto due tamponi in due giorni... Neppure il mio medico sa spiegarselo. Ho pensato che forse avevano analizzato due volte il mio tampone per essere sicuri... Neanche al San Carlo sanno cosa rispondermi ma mi invitano ad andare di persona per prendere il referto. Vado e ritiro un unico referto, quello del 9: positivo. Poi il mio dottore mi chiama per dirmi che si era sbagliato».
La svista del medico
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Ecco il secondo errore: il medico di base ha letto male il fascicolo sanitario. Perché S. aveva sì fatto in precedenza un altro tampone, ma il 10 settembre, non ottobre, quando, rientrato dalle ferie, la sua azienda si era fatta carico di far monitorare tutti i dipendenti che tornavano dai luoghi di villeggiatura.
Il medico non ha visto che un tampone era di settembre (il negativo) ma il successivo, quello importante, era del 9 ottobre.
Ricapitolo degli errori commessi: 1) l’informazione sbagliata sull’isolamento cautelativo, 2) la “svista” nella lettura del fascicolo sanitario elettronico, 3) la mancata comunicazione del tampone di positività entro 24 ore , 4) il tempo intercorso tra il tampone e comunicazione del referto di positività è stato di 6 giorni (da chi dipende? Dal medico? Dall’ospedale?). Una sequenza micidiale. Ma non è finita, purtroppo.
Ats non risponde
«Tornato a casa con il referto di positività avverto gli amici con cui ero uscito a cena e prenoto, a mie spese, il tampone rapido a domicilio per mia moglie e i miei figli: sono tutti negativi, ma restano in isolamento in attesa di fare un secondo tampone, visto che io sono ancora positivo.
Ma il dettaglio forse più preoccupante è che S. non è stato chiamato da nessuno per il famoso “contact tracing” ovvero l’attività di ricerca e gestione dei contatti di cui si occupa l’Ats territoriale, anche attraverso la App Immuni e che è cruciale nelle strategie di controllo dell’epidemia. Anche provando a chiamare il servizio pubblico S. non è mai riuscito a parlare con nessuno.
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«Ho chiamato molte volte il numero dell’Ats che si dovrebbe occupare di questo, sono stato in attesa anche per 40 minuti ogni volta ma niente: arrivato alla fine della coda inesorabilmente cadeva la linea. Poi, siccome avevo provato a chiamare di sabato mattina, dalla Regione Lombardia mi sono sentito dire che il numero di Ats non funziona durante il weekend.
L’ho trovato strano, allora ho riprovato a chiamare il lunedì successivo, ovvero ieri, 20 ottobre, molte volte e niente neanche stavolta». Tanto per essere chiari, il numero a cui S. tenta invano di chiamare da giorni è il 02/85781. Abbiamo provato anche noi e un disco risponde che il servizio è attivo dal lunedì al sabato. Ma poi al momento di parlare con l’operatore la linea cade.
«Immuni? Nessuno mi ha chiamato per validare il codice»
Con il referto di positività in mano S. ha fatto anche la segnalazione sulla app Immuni che lui aveva scaricato e attivato poco tempo fa. «Una volta fatta la segnalazione arriva un codice che però, a quanto ho capito dalle istruzioni della App, deve essere validato da un operatore sanitario perché poi effettivamente possa scattare l’alert su tutti i telefoni dei miei possibili contatti. Ma al momento nessuno mi ha chiamato. Dovrei forse chiamare io? Ma chi chiamare dal momento che Ats non risponde?».
Quarantena: 14 o 10 giorni?
«Anche sul fronte della quarantena c’è stato un fraintendimento: sono 14 o 10 i giorni di attesa? In base al nuovo Dpcm sarebbero 10 ma siccome il Dpcm non è retroattivo, per i tamponi fatti prima della sua entrata in vigore vale ancora la regola dei 14 giorni.
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«Peccato che al servizio telefonico di informazioni (un servizio dove si ascoltano solo informazioni registrate) si parla di 1o giorni senza fare questa specifica. Alla fine dopo vari tentativi sono riuscito a parlare con qualcuno, chiamando la Regione Lombardia, e lì mi hanno detto che Ats mi dovrebbe chiamare entro il 23».
Insomma, S. è in attesa, isolato in una camera, in casa sua, come molti altri nella sua condizione, e non può “accorciare” la quarantena con un tampone privato, «anche se i centri diagnostici che fanno tamponi privati sono di fatto gli stessi, qui a Milano, che sono convenzionati con l’Ats, ma la legge non lo prevede».
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Per fortuna non ha avuto bisogno di cure ospedaliere e i suoi sintomi sono stati poco più che un raffreddore un po’ di bruciore agli occhi, ma la realtà degli asintomatici o, come si dice in gergo, paucisintomatici, costituisce il grosso dei positivi al coronavirus. Per cui il loro monitoraggio sarebbe cruciale nel controllo dell’epidemia.
«Riassumendo tutta la mia Odissea, dice S. io vedo tre cose gravi: un esito positivo che mi è arrivato sei giorni dopo il tampone, nessuno che mi ha chiamato per inserirmi in un’attività di contact tracing, un medico di famiglia che forse non è ben informato sulle procedure da seguire e non sapeva bene cosa consigliarmi.
Ma sa che cosa trovo veramente assurdo? Che ci sia un solo numero di telefono a cui devono accedere tutti, positivi e persone che sospettano di esserlo. Non sarebbe più semplice e funzionale che le persone con in mano un referto di positività al covid avessero un percorso diverso? Più accessibile? Più rapido nelle risposte?» Già. Sarebbe meglio.