Gemma Gaetani per “la Verità”
Si è conclusa il 1° maggio la terza edizione del Cacio e pepe Festival. Istintivamente si penserebbe che si sia svolto a Roma, invece è stato ospitato da Milano. Dove, da qualche tempo, trionfa un interesse assolutamente inedito per la cucina romana. L'«io vi odio a voi romani» cristallizzato in terra meneghina dalla canzone di Alberto Fortis forse è decaduto, di certo è sospeso, almeno per quanto riguarda il romano inteso come mangiatore e cuciniere.
È insomma archiviato il tormentone dell'antipatia reciproca tra romani e milanesi raccontata anche nel film Il trucido e lo sbirro nel quale Tomas Milian nei panni di Er Monnezza era il gestore del ristorante La Pernacchia - ispirato a La Parolaccia - dove giungeva la coppia di ricchi milanesi, lei innamorata del folclore della trattoria, lui diffidente perché «il mangiare dei romani lo trovo di un pesante...».
Non solo cacio e pepe: dalla pizza al taglio al maritozzo, passando per il quinto quarto, a Milano sono tutti pazzi per la cucina di Roma. In occasione del Carbonara day, lo scorso 6 aprile, il pasticcere e chef Ernst Knam ha preparato la sua versione della leccornia romana in cioccolato: rigatoni di cioccolato bianco bio vaniglia Tahiti conditi con zabaione al rum speziato, pepe nero di Sarawak, guanciale essiccato al cioccolato fondente, una grattugiata di pecorino in veste di cioccolato bianco bio.
È evidente che la cucina romana vive un momento di apprezzamento milanese e più in generale nazionale mai visto prima. Va però detto che quella che ci si trova davanti non sempre è la vera-vera cucina romanesca, ma una sua rappresentazione che sta alla gastronomia capitolina un po' come il sushi sta a quella giapponese.
TRADIZIONE RIVISITATA
Come in una enorme sineddoche, si prende una parte e se ne fa un tutto. E a ben guardare quella parte, a volte, non è nemmeno così veritiera. Puntarelle senza pasta d'acciughe, supplì senza carne, maritozzi, il cui pregio sta nella spartanità dell'essere un dolce non dolce, un paninetto spaccato in due e farcito di panna rigorosamente non zuccherata, rimaneggiato in improbabili varianti come il ripieno ai marron glacés o alla crema di pistacchio oltretutto strazuccherati.
Nessuno vuol vietare per legge la rivisitazione, ma è anche vero che se mangiamo una cucina per conoscerla avrebbe senso mangiare quella vera, altrimenti mangiando e rimangiando varianti e/o errate esecuzioni ci relazioniamo con la falsificazione di quella cucina... Giocare con il canone è una modalità contemporanea di relazione che in fondo tiene alto l'interesse collettivo e il giro d'affari intorno al cibo, ma bisogna evitare che un eccesso di variazioni del canone cancelli il canone.
TRA CITTÀ E CAMPAGNA
Il canone romano, poi, non consta di tre piatti immutati nel tempo, ma si sviluppa lungo le varie età romane. Stesso rapporto dialettico la cucina romana intesse con lo spazio: campagna e urbe, quartieri particolari come quello ebraico, mare e fiume, Roma è un catalizzatore spazio-temporale incredibile e perdere cotanta stratificata complessità sarebbe un peccato. Che esistano «più cucine di Roma» lo dice ogni referente importante della cucina capitolina.
Nel bel libro di Paolo Massobrio, del quale consigliamo la lettura, L'ultima ostessa. Vita, passioni e ricette di Anna Dente, Comunica edizioni, la figlia della recentemente scomparsa grande cuoca Anna Dente, Angela Ferracci, ha fornito «le ricette di mamma» e, per esempio, nella ricetta dei carciofi alla romana specifica: «Questa è "cucina romana" più che "romanesca": la stessa ricetta, con poche varianti, soprattutto nelle erbette di condimento, si trova già nel De re coquinaria di Apicio».
La cucina romana tradizionale è una cucina di campagna, rustica e sostanziosa, basata sull'elaborazione delle materie prime della piana campagna romana con qualche punta collinare, verdure semplici ma saporite come la cicoria e i carciofi, formaggi come il pecorino, la ricotta e, in passato, la provatura di bufala, tagli di carni «non eleganti» come il guanciale e il quinto quarto e tagli più nobili riservati ai giorni di festa, come abbacchio e capretto.
Sono meno conosciute, ma ci sono le minestre, mentre i primi asciutti sono stranoti: dai rigatoni con la pagliata, in romanesco pajata, ai pomodori con il riso, le altre paste sono tutte variazioni intorno a due ingredienti cardine, pecorino e guanciale, come ci spiega lo chef Arcangelo Dandini .
Fulcro della cucina romana tradizionale sono anche i salumi, porchetta in primis: la norcineria romana, apparentata con quella umbra, ricopre un ruolo molto importante nell'alimentazione locale.
C'è la cucina degli antichi Romani, della quale abbiamo scritto sulla Verità del 15 novembre scorso e dalla quale la Roma odierna ha ereditato tanto. C'è la cucina giudaico-romanesca, con piatti immortali quale il carciofo alla giudìa, che vede il carciofo aperto come un fiore e poi fritto intero, mentre il carciofo alla romana è stufato a testa in giù dopo essere stato ripieno con aglio e mentuccia; il tortino di alici e indivia, la nocchiata (torta di nocciole) e la crostata di ricotta e visciole (abbiamo dato la ricetta sulla Verità del 24 gennaio). C'è anche la cucina di pesce: alici, baccalà e telline.
Le alici sono un must di tanti piatti, compresi i fiori di zucca ripieni che nel resto d'Italia vengono fritti vuoti o ripieni di ricotta: in entrambi i casi, per un romano si tratta di blasfemia, giacché nella capitale il ripieno è con filetti di alici sott' olio e mozzarella. La cucina romana è fatta anche di aromi, sapori e odori che non si direbbe, ma cambiano tutto: mentuccia, finocchietto selvatico, anice. E poi ci sono le pizze, sia quella al taglio sia quella tonda alla romana, parte importante dell'alimentazione fuori casa del romano, accompagnati dal fritto più romano che ci sia, il supplì, a nostro avviso il risotto di Roma in formato pocket.
PIATTI VIRTUOSI
Dal punto di vista nutrizionale, la cucina romana ha fama di essere «greve», ma in realtà i piatti sono virtuosi e mangiare alla romana mette di fronte a una dieta sorprendentemente più leggera di quella di tante altre località italiane. Fare colazione con un maritozzo con la panna (senza zucchero aggiunto, come da tradizione) fornisce 280 calorie ogni 100 grammi, invece 100 grammi di cornetto con la crema possono arrivare a 414.
Consumando un primo piatto e un contorno, per esempio una carbonara e una porzione di cicoria ripassata con aglio, olio e peperoncino, si ha un pasto perfettamente equilibrato, anche perché verdure come il carciofo, la puntarella (il germoglio di cicoria asparago anche detto catalogna) e la cicoria sono tutt' e tre della famiglia delle Asteracee, piante anche medicinali che oltre ad abbassare l'indice glicemico del pasto e tamponare i grassi con il loro contenuto di fibra come tante altre verdure, hanno un peculiare e preciso potere digestivo e depurativo. Anche la mentuccia (è la nepetella, della stessa famiglia della menta), il finocchietto selvatico e l'anice, triade romana aromatica, aiutano la digestione.