Andrea Marinelli per il corriere.it
Per sei anni un serial killer ha terrorizzato gli inquilini di Woodson Houses, un condominio per anziani che si trova fra Brownsville ed East New York, uccidendone tre senza che le autorità di New York abbiano realmente provato a fermarlo. Per i 450 residenti l’edificio - che occupa quasi un intero isolato fra due dei quartieri più pericolosi di Brooklyn - era sempre stato un rifugio, un «luogo di pace» dove poter vivere tranquillamente in comunità, finché non sono cominciati gli omicidi.
La prima vittima, nel 2015, è stata Myrtle McKinney, una donna di 82 anni che abitava nell’appartamento 6M e fu uccisa con una coltellata alla gola; poi, nel 2019, toccò a Jacolia James, un’altra donna di 83 anni che abitava nell’unità 11C e fu strangolata nel corridoio del palazzo; infine, il 15 gennaio di quest’anno, è stato il turno di Juanita Caballero, che tutti conoscevano come Jenny, una 78enne che risiedeva nell’appartamento 6A ed è stata ritrovata morta con il filo del telefono stretto attorno al collo.
Il condominio degli omicidi di Kevin Gavin
Proprio questo terzo omicidio ha permesso alla polizia di individuare il killer, un uomo di 66 anni di nome Kevin Gavin che abitava anche lui nella residenza di Powell Street, nell’appartamento 6E, allo stesso piano di due delle vittime: gli agenti avevano avuto dei sospetti già nel 2015, ma non avevano trovato prove sufficienti per arrestarlo.
Secondo gli agenti Gavin, che aveva diversi precedenti per droga, potrebbe aver ucciso le sue vittime perché non gli avevano pagato i lavoretti di riparazione che aveva effettuato per loro: sistemava le antenne della tv, portava la spesa oppure raccoglieva bottiglie e spazzatura. Gavin si è dichiarato non colpevole e rischia l’ergastolo ma, a distanza di nove mesi dall’ultimo omicidio, un’inchiesta del New York Magazine ha ricostruito la catena di errori che gli hanno permesso di uccidere le tre vicine di casa - e forse altri inquilini come Henry Higgins, un 80enne in ottima salute trovato morto nel 2019 con dei lividi sulle costole - facendola franca per sei anni.
Innanzitutto la negligenza nelle indagini, che nel caso di McKinney hanno inizialmente determinato una morte per cause naturali malgrado la donna avesse una coltellata sul collo e nonostante mancassero le chiavi dell’appartamento e 800 dollari dal suo conto in banca, ritirati proprio nel weekend della sua morte. C’è voluto un mese per capire che si trattava in realtà di omicidio: ad accorgersi della ferita da arma da taglio sul retro del collo non fu un agente, ma il direttore dell’agenzia di pompe funebri che la stava preparando per il funerale.
C’è stata poi un’evidente falla nella sicurezza da parte della New York City Housing Authority, l’ente che fornisce appartamenti popolari ai cittadini bisognosi e che avrebbe potuto prevenire almeno gli altri due decessi: i residenti e le famiglie delle vittime hanno a lungo chiesto l’installazione di telecamere - completamente assenti nell’edificio - e di aumentare la sorveglianza, visto che gli agenti (di una società privata) pattugliavano l’ingresso soltanto dalle 17 a mezzanotte, mentre il resto del tempo la lobby era affidata al controllo degli stessi inquilini.
Infine, ha giocato un ruolo anche la pandemia. L’omicida si era trasferito a Woodson Houses nel 2015 perché ci abitava il fratello Leon Gavin, che spesso veniva intervistato dai giornali dopo gli omicidi, un uomo benvoluto da tutti e conosciuto come «Music Man», perché organizzava piccole feste suonando musica dalle casse del suo scooter elettrico per disabili. Leon permetteva al fratello di dormire su un materasso adagiato sul pavimento ma alla sua morte, fu trovato senza vita nel suo appartamento ad aprile 2020, Kevin Gavin - ormai noto ai residenti come «Point» perché girava con un punteruolo da ghiaccio, ma anche per il suo occhio di vetro e l’abitudine di chiedere soldi per comprare crack - era riuscito a restare nell’appartamento da abusivo grazie alla moratoria sugli sfratti, voluta dall’ormai ex governatore Andrew Cuomo per salvaguardare i cittadini più deboli che non riuscivano a lavorare e quindi pagare l’affitto durante l’emergenza sanitaria: Kevin si rifiutò di restituire le chiavi sostenendo di non aver alcun posto dove andare, e la New York City Housing Authority non poteva portarlo in tribunale.
A gennaio la notizia dell’arresto di Kevin Gavin è stata accolta con sollievo dai parenti delle vittime, che tuttavia si sono detti furiosi per il ritardo con cui i detective hanno trattato i primi due casi come omicidio. «Mia madre è stata uccisa brutalmente, uccisa brutalmente», aveva dichiarato commosso al New York Times Steven Caballero, chiedendo giustizia per la madre Jenny e protezione per i suoi amici che ancora vivono nell’edificio.
«Questo, ancora una volta, è un caso di razzismo sistemico, in cui le vite dei neri non hanno ricevuto l’attenzione, il tempo e le risorse necessarie. Crediamo che il New York Police Department sia stato negligente, c’è bisogno di un cambiamento sistemico», aveva dichiarato a febbraio la consigliera comunale Inez Barron, il cui distretto comprende il quartiere di Brownsville. «Se fossero stati anziani cittadini bianchi - ha rincarato il marito Charles Barron, parlamentare statale - avrebbero preso il caso più seriamente fin dall’inizio».